domenica 26 aprile 2015

THE AVENGERS


Silvio Berlusconi ha avuto un'idea geniale, degna di uno che ha rivoluzionato il mondo del calcio inventando il Super Milan di Van Basten, Gullit e Rijkaard. Il percorso logico deve essere stato più o meno lo stesso: se vuoi risalire devi puntare all'eccellenza. Quindi basta con le mezze figure, con le veline riverniciate da esperte di realpolitik, coi vecchi tromboni riciclati dalla seconda repubblica, con i frusti esempi di successo della società civile. Tutta roba superata. Per rilanciare Forza Italia bisogna puntare al top del top, ai grandi leaders della scena mondiale, quelli coi quali il capo degli azzurri si dava di gomito ai summit internazionali. Parliamo di veri super eroi, amici miei, strafichi coi super poteri, mica si scherza. Ecco i primi nomi della lista: Blair e Bush, nientemeno. I due fuoriclasse della democrazia planetaria, castigamatti di tiranni, potrebbero riconvertirsi a consulenti del nuovo che avanza, cioè di quel partito dei moderati destinato a raccogliere il 99% dei consensi. Ed ora ecco le idee. Alla prima riunione c'erano Blair, Bush, Condoleeza Rice, Colin Powell e Paul Wolfowitz. Giorg Dabliu  ha subito proposto di bombardare  largo del Nazareno, ma gli hanno spiegato che non si può perchè Renzi non è il vero nemico. Allora si è fatto avanti Wolfowitz, stratega dell'imperdibile pamphlet PNAC (Project for the new american century). Ha proposto di arrivare a una fusione morbida col PD medesimo, una robina easy che passi inosservata. Tipo un transito linguistico da PDL (Partito delle Libertà) a PDL (Partito Democratico Liberale) a PD (Partito Democratico). Oppure da PD (Partito Democratico) a PDI (Partito Democratico Italiano) a PdI (Partito d'Italia) a FdI (Formazione d'Italia) a FI (Forza Italia). "Così però assimiliamo il nemico, ma non eliminiamo mica le opposizioni" ha commentato, sconsolata, Condoleeza. Mai paura: il brainstorming alla fine  ha generato l'uovo tanto atteso. Colin Powell ha estratto dal taschino due fiale e le ha mostrate ai presenti in favore di camera, commentando: "questo è antrace, l'ho trovato nel gabinetto dei 5 Stelle. Questo, invece, è gas nervino, l'ho rilevato nel tubo di scappamento dell'auto di Salvini". Opposizioni sistemate, vittoria assicurata. Grazie agli Avengers.

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FACILMENTE IMPRESSIONABILI


Pochi giorni fa, Barack Obama, a seguito dell'incontro con il premier italiano Matteo Renzi, ha detto: "Sono rimasto impressionato dalle riforme che l'Italia sta portando avanti". Il 17 marzo 2014 Angela Merkel disse, a proposito dell'agenda riformatrice del nuovo governo italiano: "Sono rimasta molto colpita dal cambiamento strutturale in Italia, è davvero impressionante". Enrico Letta, in precedenza, era stato gratificato dal medesimo epiteto. Il 25 novembre 2011, la stessa Merkel disse che le riforme strutturali messe in cantiere dal neo premier Mario Monti erano di dimensione "impressionante". In pratica, da almeno quattro anni a questa parte, i governi italiani continuano a spiattellare politici impressionanti che sfornano riforme impressionanti. E' davvero impressionante il fatto che noi italiani non ce ne siamo accorti. Chissà perchè non ci resta impresso nella mente questo diluvio di novità e cambiamenti che tanto impressiona i nostri partners euro-atlantici. In realtà, l'utilizzo dello stesso aggettivo da parte di ammiratori diversi in occasioni differenti con destinatari plurimi ci rivela una cosa essenziale: la manipolazione linguistica ha i suoi limiti quando non è accompagnata da una dose sufficiente di fantasia e versatilità. Gli spin doctor dell'imperatrice europea e di Barack 'Yeswecan' Obama, quando si trovano di fronte il governo di turno dello stivale, verificano se sta eseguendo i diktat della Troika (riformestrutturali+liberalizzazioni+privatizzazioni). Dopodichè, preso atto dell'atto di obbedienza, a prescindere dai risultati, vanno a consultare i precedenti per verificare quale 'ossicino' verbale venne utilizzato in passato in consimili circostanze onde titillare l'ego dei presidenti del consiglio della colonia italica e al fin di sedurre i loro intontiti elettori. Si imbattono nella parola 'impressionante' pronunciata in analoghe occasioni e la scrivono nero su bianco sul post-it che poi il loro campione deve recitare davanti alle telecamere, leggendolo sul gobbo. Ecco come nasce l'impressionante catena di 'impressionanti' riforme elogiate da 'impressionati' capi di stato. Nessuno di loro si è ancora chiesto se non sia il caso di spolverare, dal ricco vocabolario italico, aggettivi nuovi. Che ne so: straordinario, eccezionale, favoloso, incredibile, eccellente. Il motivo è semplice: ci credono così stupidi, ma così stupidi, da non riuscire ad accorgersi dei copioni già scritti che poi ci propinano. E' come se mandassero due puntate identiche di Beautiful a una settimana di distanza fidando sulla scarsa portata cerebrale degli spettatori. Pensano davvero che atteggiare la faccia come quella dell'urlo di Munch e dire, stupiti, 'impressionante' basti a garantire lunga vita politica ai premier graditi alle elites.  La considerazione che hanno dell'elettore medio è così piccola da risultare macroscopica. Anzi, impressionante.

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25 APRILE, DOLCE DORMIRE


E' il 25 arile, si festeggia il settantesimo anniversario della liberazione e molti degli italiani che diedero la vita per liberare l'Italia dalla dittatura e dagli invasori si staranno rivoltando nella tomba. Quantomeno, si staranno chiedendo che diavolo andiamo a festeggiare. Certe domande, i morti riescono a farsele con più lucidità e coscienza dei vivi addormentati. Mentre è tutto un fiorire di cerimonie e corone deposte agli altari della Patria, un susseguirsi di marce e di parate e di colpi di cannoni a salve, un tripudio di paginoni sui quotidianoni a commemororar la ricorrenza, nessuno si accorge che il nazi-fascismo è finito giusto settant'anni fa, più o meno lo stesso arco temporale che separa la fine della seconda guerra mondiale dalla breccia di Porta Pia. E se almeno una parte delle energie (ben) spese per ricordare chi ci ridiede la libertà nel Quarantacinque, le usassimo per dare un'occhiata al nostro presente forse ci accorgeremo dell'urgenza di un'altro Quarantacinque e di un'altra Liberazione. Magari scopriremmo che il Parlamento bicamerale sorto dalle macerie del tunnel più buio della nostra Storia sta per essere soppiantato da una cameretta ricreativa per servili nominati. Oppure che, già ora, quasi tutte le leggi licenziate dai nostri 'eletti' sono semplicemente un 'copia-incolla' delle norme decise in quel simulacro di patria  in cartongesso chiamato Europa. La 234/2013 ("Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione Europea") istituzionalizza i famosi 'compiti per casa'. Entro il 28 febbraio di ogni anno, i parlamentari dello stato sedicente sovrano detto Italia devono adeguare l'ordinamento nazionale a quello comunitario 'recependo' d'amblè decisioni prese altrove. Dunque, in questo fausto dì, celebriamo il settantesimo anniversario di una libertà cui abbiamo abdicato per legge. Ma chissenefrega. Nell'epoca delle rivoluzioni tradite, è normale l'uso di parole distorte per celare l'odiosa verità dei fatti. Come recitano alcuni slogan del partito Socing, nel capolavoro di Orwell (1984): “la menzogna diventa verità e passa alla storia” e “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”. Quindi torniamo pure a brindare alla festa della liberazione. I morti non sono invitati, ma per i vivi dormienti ci sono solo posti in piedi.

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NONNA ABELARDA E LE BANCHE D'ASSALTO


Che le banche stiano immensamente a cuore ai governi lo avevamo capito dopo la crisi del 2008 quando una marea di istituti di credito che avevano speculato sulla (e con la) finanza creativa vennero salvati dagli Stati attraverso massicce iniezioni di liquidità. L'effetto fu micidiale per le casse pubbliche di diversi paesi e si tradusse in un vertiginoso aumento dei debiti pubblici nell'eurozona e anche altrove. Poi, i media 'indipendenti' (spesso partecipati dallo stesso azionariato che controlla banche e finanza d'assalto) e i loro fini commentatori si affannarono a spiegare che era giusto così, che le banche erano 'too big to fail' cioè troppo grandi per fallire e mettere sul lastrico i risparmi di una vita di nonna Abelarda. Poco importa che i banksters avessero utilizzato quegli stessi risparmi non con la prudenza di una cassa peota strapaesana, ma con l'indifferente e temerario slancio di un abituè dei casino. Sta di fatto che si ottennero i classici due piccioni con una fava: da un lato salvare le chiappe agli speculatori e dall'altro scaricare le colpe per l'esplosione del debito pubblico sugli stati spendaccioni. Oggi, però, c'è una novità che farà giustizia e metterà le cose a posto. Si chiama bail in e l'hanno sperimentata in Austria con la Hypo Alpe Adria. In pratica, significa che, se hai dei soldi depositati in una bad bank e questa fa crack, non te li ridanno indietro, ma li usano per colmare il buco. Insomma, mentre finora tra penalizzare la collettività o la banca speculatrice d'azzardo sceglievano sistematicamente la prima che ho detto, ora tra penalizzare la banca speculatrice d'azzardo e nonna Abelarda, sceglieranno sistematicamente la seconda. Come a dire che cambiando l'ordine dei fattori il beneficiario non cambia. Mai.

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LE DEBITE DISTANZE


Un'analisi di McKinsey, riportata su 'Italia Oggi', ha messo il dito in una piaga già nota, ma sottovalutata: quella dell'indebitamento. In moltissimi paesi di punta dell'economia globale il rapporto tra la somma del debito pubblico e di quello privato, da una parte, e il PIL, dall'altra, ha raggiunto dimensioni monstre: 400% in Giappone, 390% in Irlanda, 358% in Portogallo, 280% in Francia, 259% in Italia. Tuttavia, se ci pensate, non si tratta di una malattia delle entità impersonali (gli Stati) in cui si incarnano le nazioni. E' un morbo che contagia il vissuto di ciascuno di noi da quando ci approcciamo al mondo del lavoro a quando ce ne allontaniamo per 'goderci' la pensione. Il sistema economico occidentale (oramai globalizzato) non è più un modello dove si lavora per guadagnare, per vivere, per risparmiare, per investire, ma, piuttosto, una matrice dove si va in prestito del necessaire  per consentirsi quei 'consumi' che sono il marchio di fabbrica della Civiltà fondata sulla Crescita. Un tempo, nella logica tipica del fordismo, lavoravi (anche) per guadagnare quel di più che ti serviva a pagarti i lussi del mercato. Oggi, invece, per ottenere lo stesso risultato, devi indebitarti e cioè privarti, nel medio-lungo periodo, di una quantità di risorse ben superiori (considerando gli interessi) rispetto a quelle che ti vengono elargite. Idem dicasi per gli stati. La 'mitologica' Crescita non è alimentata da un rilancio dell'economia reale, ma dall'accesso al debito regolamentato dai Mercati finanziari e dalle istituzioni internazionali che fungono loro da ancelle. La domanda è: perchè siamo finiti così? Perchè qualsiasi prodotto reclamizzato dai media contiene una frase finale (pronunciata, di solito, a perdifiato come le controindicazioni dei farmaci) che ci recita il TAEG o il TAN del debito che dovremo contrarre per pagarci quel 'giocattolo'? In attesa di una risposta dovremmo ricordarci la stretta attinenza che esiste tra il fenomeno del debito e quello del servaggio, e il legame che vincola i consumatori indebitati (e stimolati a sempre nuovi consumi) ai loro finanziatori (dovranno pur nascondersi da qualche parte, no?). Per farlo gioverebbe una ripassata di quelle norme di  diritto romano antico con cui avevano persino formalizzato la punizione giusta per il debitore insolvente: la schiavitù. In fondo, non siamo molto distanti da quel meccanismo, lo abbiamo solo perfezionato. Diciamo che oggi si va più per le spicce, nel rispetto delle forme: schiavi non di nome, ma di fatto, presto e per sempre, anche senza default.

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sabato 11 aprile 2015

LA MALEDETTA COMPETI-TI-TI-TI-VITA'


Ci sono delle parole italiane, onomatopeiche, irrobustite da un raddoppio di sillaba che sembra quasi uno starnuto, futurista e liberante. Parole autoreferenziali dove significante e significato si fondono, si con-fondono e ne esce un lemma ridondante, un po’ barocco, anzi rococò, per la precisione. Dove quel cocò ti parla, meglio di una guida Touring, di stucchi e di merletti, di vezzi e di bocciuoli, di riccioli e arabeschi. Insomma, è la Polaroid dello stile francese in voga al fiorir del Settecento. Parole così, tipo accoccolato che racconta di rotondità attorcigliate a poltrire in divano con quella strepitosa successione di doppie ‘c’ dure che ricorda le coccole, ma anche il cioccolato. Oppure spaparanzato che dice dello spararsi una pennica, del pisolino dopo pranzo, dell’inerzia di un corpo sciolto sull’amaca, sotto il sole. I tentativi di de-scriverle, queste parole, sono vani perché uccidono vocaboli vivi che ‘duplicano’ apposta, a evitarci improbe fatiche semantiche: spa-pa-ranzato, e basta. Ac-coc-co-lato, e basta. Che vuoi di più? Bene, ce n’è un altro, di termine, col suono scoppiettante e metallico di un mitra, il caricatore occulto di un’epoca, la nostra. Un ‘termine’ che è, paradossalmente, l’inizio di tutto, che sa cifrare i ritmi del terzo millennio, ne restituisce l’essenza belluina e fremente, bramosa di tutte le vittorie e capace di premere il grilletto per averle. Una parola con la doppia sillaba, come quelle citate, ma secca e sottile quanto le altre son morbide e spugnose. È  così di moda che la sa compitare, con sinistra voluttà, tutta la gente che piace. Politici, opinionisti, anchor man, figure istituzionali, la schioccano più e più e più e più volte al giorno frustando la lingua sul palato senza mai incespicare. Bravi, sono bravi, perché è un vocabolo che ti invoglia a metterci un di più che poi tradisce: compe-ti-ti-vi-tà. Con quel finale canagliesco che par preso di peso da ‘C’era un ragazzo che come me’. Quello che imitava i Beatles e i Rolling Stones e finì per cantare un’unica nota: ra-ta-ta-tà. Quando la senti in tv, ti coglie un brivido perché paventi l’inciampo su quelle insidiosissime ‘ti’. E invece no. Non sbaglia nessuno. Perché abbiamo politici all’altezza, tutti iper competitivi, il meglio del meglio, tarati sul senso ultimo della nostra civiltà: vincere, sempre, comunque, dovunque. Ecco cos’è la competi-ti-vità ed ecco perché ha sbaragliato i rivali divenendo, per il ventunesimo secolo, ciò che il Rinascimento fu per il Quattrocento o il Risorgimento per l’Ottocento. Per millenni, all’umanità è stato chiesto di sopravvivere. Oggi si comanda l’ultra-vivere che significa scompaginare il campo dei concorrenti, qualunque sia il cimento: non solo nel gioco, ma nel lavoro, nei sentimenti, nel tempo libero. Nella vita. Conta essere primi, i migliori e non per un giorno, o per un mese, o per un anno: sempre. Pena, la morte civile, il default, la reiezione dal consesso civile. Nella logica dei mercati mondiali che ormai permea ogni tipo di interazione umana, facendola diventare una transazione commerciale, devi essere performante, all’avanguardia, puntando sull’innovazione e sulla ricerca per sbriciolare tutti gli altri messi assieme e partorire la Crescita. E non puoi rilassarti un minuto perché la tecnologia sforna commodities sempre nuove e, non stando al passo, stai al palo, cioè sei fottuto. Quindi non puoi godere i tuoi guadagni perché devi reinvestirli. Ma, essendo il marchio di fabbrica del nostro pensiero quotidiano, la competitività ha contaminato qualsiasi cosa. Non si traduce solo nelle strade deserte di molte città fatte di negozi, bar e  pizzerie con le serrande abbassate, giustamente decimate perché poco competitive. Si traduce anche nei curriculum prodigiosi dei nostri giovani, sempre più belli e luccicanti di lustrini: e diplomi e master e lauree, doppie o triple, e lingue inglesi, sudamericane, globali. Eppure sono a spasso, devoti a San Precario, benché più bravi, preparati e ‘competitivi’ degli stessi selezionatori che dovrebbero assumerli. Ma non basta. Nella competitività vince uno e tutti gli altri son nessuno. Raus! A cercar fortuna in un call center. E si traduce pure nell’uccisione del tempo dei bambini, quella preziosa riserva di fancazzismo degli anni andati, di infinite giornate di nulla in agenda. Stop: oggi scuola a tempo pieno, strategie educative, e-learning e brain-storming, e poi sport semi-agonistico, musica para-professionale, impegni simil-accademici. E le vacanze le casserà un ministro mattacchione calibrato sulla competitività. Comunque, mai visti così tanti bambini geniali, come oggidì. Pensate ai vostri conoscenti: è difficile che non abbiano un piccolo genio in casa che sballottano, da mane a sera, da un’aula a una palestra a un campo di calcio a un uditorio, per coltivarne i talenti. By the way, ci sono libri delle elementari che si chiamano proprio così: ‘Piccolo genio’. E non è un caso, perché la missione è diventare com-pe-ti-ti-vi (che fa rima con cattivi) cioè non bravi, e neanche bravissimi, ma i più bravi di tutti. E uno su mille ce la farà, strimpellerebbe sempre Morandi. Perché la competitività non fa prigionieri, amici miei, e si lascia dietro un’autostrada di ‘morti’: depressi, impauriti, nevrotici convinti di non valere un cazzo solo perché arrivati secondi, o magari anche quindicesimi, o centocinquantesimi, su una gara con milioni di competitors. Mentre erano nella top hit del mazzo. Ma non c’è niente da fare. Han da schiattare perché gli manca l’X-factor, il timbro della specialità che connota quel talento innato e ‘innaturale’ che illo tempore esigevano  da Mozart o da Leopardi. Oggi lo pretendono da tutti ed è un moltiplicarsi di programmi che ti invitano ad andare forte, forte forte! O ti ricordano che il tuo paese has got talent! E quindi anche tu devi averlo altrimenti sei fuori, capito? È una sfilata, sui format che ho citato, di ragazzetti di una bravura commovente. A tredici anni cantano come Modugno, ballano come la Fracci, recitano come Gassman. Ma non sanno che non serve. La macchina da competizione che è il nostro dannato presente non esige ‘dei’ vincitori, ma ‘un’ vincitore. Il resto son perdenti. Selezionati dal mercato ed evacuati dal medesimo, con la nonchalance di una pisciata di cane. La competi-ti-ti-ti-ti-vità mitraglia vittime esistenziali,  ha la foga di uno Spandau e non risparmia neanche gli anziani. C’è una soglia d’età oltre la quale diventi un relitto inutile, da rottamare. E rottamare è un'altra espressione figlia della competitività che, a sua volta, sforna politici baby, smart, easy, sexy, fichissimi, con la lingua letale quanto la Colt di Billy the Kid. I vecchi son l’epitome, mannaggia a loro, di tutto ciò che competitivo non è: lenti, inefficienti, brontoloni. Al massimo buoni a competere a una tombolata parrocchiale. Che crepino. E tra poco ce lo chiederà l'Europa, non per scherzo. Ai medici della mutua inglesi è stata caldeggiata una lista 'end of life care' ovvero di 'accompagnamento al fine vita' per malati terminali le cui aspettative di vita non superano i dodici mesi, ai quali proporre di essere 'accompagnati' all'uscita, cioè verso la morte.  Risultato stra-competitivo: risparmio netto del 25% dei letti di ospedale e di circa 1,35 miliardi l’anno per la sanità di sua maestà. Ma per i giapponesi è ancora poco. Il ministro delle finanze, Taro Aso, ha dichiarato: "Perché dovrei pagare per persone che si limitano a mangiare e bere e che non fanno alcuno sforzo? Mi sveglierei sempre peggio sapendo che tutte le cure in corso sono a carico del governo. Il problema non si risolverà fino a quando non lascerete che si sbrighino a morire". Ecco un uomo in sintonia col suo tempo. E con il mio, e con il vostro. Il tempo della compe-ti-ti-ti-ti-vità. 

CURA RICOSTITUENTE

Questo è un file riservatissimo. Lo abbiamo acquisito dietro solenne giuramento di non divulgarlo prima del tempo, ma abbiamo giurato sul Trattato di Lisbona e quindi non vediamo l’ora di infrangerlo. Si tratta di una meritoria iniziativa di alcuni maggiorenti del Pd di concerto con i vertici di quasi tutti i principali partiti italiani. Consiste nell’adeguamento della Costituzione ‘formale’ (scritta col sangue dei nostri padri e studiata all’ora di educazione civica delle scuole medie) alla Costituzione ‘materiale’ cioè quella effettivamente vigente nel nostro paese da almeno un decennio. La riforma strutturale si impone per rilanciare la crescita e dilatare il PIL, ma anche per colmare l’insopportabile divario tra uno stato di schiavitù sostanziale ostinatamente smentito dalla carta (straccia) della Costituzione del Quarantotto. Tra pochi giorni verrà presentata al parlamento che la approverà in doppia lettura per conferirle rango e forza ‘costituzionali’. La mia fonte ha detto che il premier sa bene che qualche sparuto gruppetto di professoroni nostalgici, gufi e pure rosiconi si opporrà, ma se ne frega perché lui ha preso il quaranta per cento delle preferenze alle uniche elezioni regolari dal dopoguerra in poi ed è stato chiamato a fare gli interessi dei suoi (grandi) elettori, mica degli italiani. Ora, bando alle chiacchiere e spazio al testo.
 
Art. 1L’Italia era una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità non appartiene al popolo che la subisce nelle forme e nella sostanza e senza limite alcuno.
Art. 2La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dei Mercati, sia come singoli sia nelle formazioni istituzionali dove si manifesta la loro impersonalità e richiede ai cittadini l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale nei confronti dei grandi investitori internazionali.
Art. 3Tutti i cittadini hanno pari irrilevanza sociale e sono ugualmente sudditi davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, garantendo di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo delle riforme strutturali e l’effettiva appropriazione da parte dei capitali esteri dell’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Art. 4La Repubblica riconosce a tutti i cittadini la speranza improbabile di un lavoro precario e promuove le condizioni che rendano sempre più aleatorio questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, possibilmente gratis e senza accampare pretese, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e alla soddisfazione spirituale delle borse mondiali.
Art. 5La Repubblica, una e invisibile, disconosce e rimuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio accentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze della sovranità assoluta e dell’accentramento dei poteri in capo alla Commissione Europea e alla BCE.
Art. 6La Repubblica tutela con apposite norme la maggioranza linguistica anglofona.
Art. 7Lo Stato e la Chiesa della Crescita sono, ciascuno nel proprio ordine e rispettivamente, subordinato il primo e sovrana e insindacabile la seconda. I loro rapporti sono regolati dai trattati istitutivi dell’Unione Europea. Le modificazioni dei patti, purché a beneficio della UE, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8Tutte le confessioni religiose dedite all’implementazione dei profitti del grande capitale privato sono libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse ed eccentriche rispetto al Pensiero Unico Accettato non hanno diritto di organizzarsi se non secondo gli statuti e i desideri dell’Unione Europea, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico comunitario. I loro rapporti con la UE sono regolati, anche contro la legge, sulla base di intese con le rappresentanze delle agenzie di rating.
Art. 9La Repubblica promuove l’involuzione della libera conoscenza, della cultura alternativa e della ricerca indipendente e autonoma. Tutela il paesaggio desertificato degli antichi distretti industriali italiani e il proprio patrimonio storico e artistico in attesa che venga definitivamente svenduto a corporazioni multinazionali.
Art. 10L’ordinamento giuridico italiano si genuflette alle norme del diritto comunitario anche se sconosciute. La condizione giuridica dello straniero immigrato è favorita dalla legge rispetto alla condizione dell’italiano autoctono, in conformità alle norme e ai principi non scritti della globalizzazione. L’italiano al quale sia impedito nel proprio paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche un tempo garantite dalla (vecchia) costituzione italiana non ha diritto d’asilo neppure nel territorio della sua (ex) Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge del più forte. Non è ammessa l’agevolazione del cittadino italiano neppure per sacrosanti motivi politici.
Art. 11L’Italia ripudia la guerra intellettuale al Pensiero Unico Accettato come strumento di offesa alla libertà indiscriminata dei Mercati e come mezzo di risoluzione delle ingiustizie internazionali; consente, in condizioni di disparità totale con l’Unione Europea, alle limitazioni di sovranità indispensabili ad un ordinamento che assicuri la povertà endemica e l’ingiustizia nelle Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni multinazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12La bandiera della Repubblica italiana è il vessillo blu con cerchio di dodici stelle d’oro accompagnata al simbolo da carcerati del Nuovo Ordine Globale: nero, bianco, nero, a tre bande verticali di uguali dimensioni.