mercoledì 24 giugno 2015

FERMO IMAGINE

Format di una notte di mezza estate. Da un canale locale, la trasmissione di un festival della musica dove una matrona di colore, forse una grande cantante moderna, preannuncia al pubblico di una città del Nordest italiano, forse Vicenza, la sua personale interpretazione di una delle più belle canzoni di sempre, Imagine dei Beatles. Più bella di sempre se ti affidi alla musica e se, non masticando l’inglese, ti lasci ammaliare da parole straniere e suggestive. Ma la matrona commette un errore: parafrasa il testo della hit, e, in un crescendo di enfatica retorica, ti spiega quanto più bello sarebbe il mondo se si riducesse a un unico villaggio senza più differenze. Ti traduce anche, piuttosto bene, l’inno dei fab four che cappottarono la storia della musica nei favolosi Sessanta. Tu ascolti e ti si gela il sangue nelle vene. Perché il testo di quella canzone è la straordinaria sintesi dell’epoca attuale o, quantomeno, di quella, peggiore, che verrà. La povera interprete, imbevuta di slogan come tanti colleghi di successo, seduce la platea invitandola a immaginare quanto sarebbe più pacifica l'Umanità, e più solidale e coesa, se divenisse davvero come John Lennon & Company avevano immaginato che fosse. Immagina un mondo senza nazioni, un mondo senza colori, un mondo senza religioni. E’ esattamente la meta che ci attende: una Terra scrostata dalle difformità, purgata da ciò che divide, uniformata in una melassa di costumi, pensieri e convinzioni, un globo dove le frontiere si sfarinano e le tradizioni si sfaldano e dove gli Stati cedono il passo a nuove, cosmopolite, elitarie entità, un mondo senza divinità diverse, con cittadini tutti uguali. Questo è il sogno di Paul McCartney e allora capisci che l’inno di una delle bande mitiche del rock, in verità, era solo la reazionaria anticipazione di oggi e non il rivoluzionario fenomeno beat di ieri. Era il jingle della civiltà unificata che sarebbe sorta alla fine della Storia. Proprio quella che si profila all’orizzonte. La prosperosa cantante, nel frattempo, gorgheggia le sue note nel cielo estivo e ti trovi a coltivare un pensiero obliquo: quanto meraviglioso è il suono di quel canto, tanto è orribile il Sogno che ti offre in pasto. Perché quell’Imagine sta diventando realtà. Una realtà senza colori, senza religioni, senza diversità. In una parola, ferma. Anzi, morta.
 
Francesco Carraro

FAMILY GAY

Il raduno delle associazioni cattoliche a difesa di una cosa così astrusa, e financo border line, come la famiglia-naturale-fondata-sul-matrimonio-di-uomo-e-donna ha mandato in fibrillazione il più bel mondo della politica e dell’ecclesia, di qua e di là dal Tevere. Hanno cominciato quelli della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) prendendo le distanze dall’evento e provandone un profondo imbarazzo. In un periodo epocale come questo, con un papa epocale come questo, che sta facendo saltare, tipo tappini dalle gazzose, molti obsoleti tabù, ostinarsi a difendere la famiglia sa di vecchio, di stantio e di anormale, anche per i vertici del Vaticano. A livello politico ci ha pensato tal Ivan Scalfarotto, sottosegretario del governo Renzi, a definire ‘inaccettabile’ il family day. Quella piazza urterebbe la suscettibilità del mondo ‘diverso’. Le reazioni, una clericale, l’altra anti, certificano due fenomeni ormai difficilmente frenabili: il prepotere delle minoranze e il declino della normalità. Forse non a caso, ciò accade in un momento in cui il concetto stesso di democrazia (connaturato alla prevalenza di una maggioranza)   si sgretola. Oggi non vince chi più conta, in senso numerico, ma chi più canta, strepita e intimidisce. Ergo, un manipolo di bravi, per quanto sparuto, se è baldanzoso e arrogante abbastanza, e sapiente nell’abuso dei media, può mettere a tacere la massa silente e non avvezza alla protesta. Veniamo al declino della normalità. La tracotanza del minoritario ha reso indispensabile attivarsi per rivendicare, con manifestazioni di piazza, i principii dell’ovvio. Il fatto che la famiglia tradizionale si basi sull’incontro di due generi differenti e sull’educazione di bambini nati da quell’amore banalmente bisex non dovrebbe richiedere, a tutela, la mobilitazione di militanti bellicosi. Eppure, siamo arrivati a questo. La normalità non è più data per scontata, ma deve conquistarsi il diritto di esistere che, invece, spetterebbe alla ‘eccezione’ reclamare. E le istituzioni religiose che, di siffatta normalità, dovrebbero farsi paladine, si scansano temendo la taccia di oscurantismo. Così, la salvaguardia del logico, del giusto, del naturale è rimessa al coraggio e alla tigna di chi non tollera lo sfregio di ciò che sino a ieri era il pilastro della nostra società ed ora è un totem da abbattere. Speriamo che non gli passi la voglia di farlo perché, altrimenti, la maggioranza silenziosa diventerebbe una maggioranza silenziata. E soccombente.
 
Francesco Carraro

martedì 23 giugno 2015

CONTENTO COME UNA PASQUA


Papa Bergoglio ha dichiarato di essere pronto a rinunciare alla data canonica in cui si celebra la Pasqua cristiana cattolica e cioè la prima domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Questa concessione è suggerita da quell’insopprimibile spirito ecumenico che anima, da almeno quarant’anni, la Chiesa post conciliare. C’è un bisogno spinto di ritornare tutti fratelli, di radunare le pecore disperse della diaspora cristiana: ortodossi, cattolici, protestanti. E va bene. Però, abbiamo la vaga sensazione che, dietro, ci sia molto di più che questo. È una sensazione, intendiamoci, pronta quindi ad essere smentita dalle svolte prossime venture di una storia che macina i suoi grani sempre più in fretta. Eppure, nulla ci toglie dalla testa di trovarci di fronte a un Papa che non è più solo conciliare come tutti i suoi predecessori (e com’è ovvio che sia) ma anche e soprattutto ‘conciliante’. Nel senso di supinamente prono nei confronti di chiunque bussi al portone della sua parrocchia planetaria. Niente di male, direte. La Chiesa è sempre stata prodiga di aiuti, benedizioni e assoluzioni nei confronti di coloro che si presentavano alla sua soglia, pentiti. È nella natura stessa del cristianesimo l’intima vocazione all’includere e il sostantivo cattolico (universale) lo significa da secoli, anticipando, sul piano spirituale, quella voracità globalizzante che è la cifra dei nostri tempi. Eppure, di nuovo, qualcosa non torna. Pare che a Bergoglio non basti socchiudere i battenti del tempio, ma prema buttarne giù le mura tutte intere. Quasi che il suo obiettivo non sia indicare al mondo la Croce, invitandolo a entrare nella Chiesa, ma additare al Popolo della Croce il mondo, sollecitandolo a uscire dalla Chiesa per tuffarsi in una sorta di nuova Religione Universale, impastata di ecumenismo, buoni sentimenti, fratellanza trasversa, solidarietà illuministica, fine degli steccati. Magari è presto per dirlo, e infatti parliamo di sensazioni, ma ci sembra che il sentiero intrapreso da Francesco conduca verso qualcosa di vagamente rassomigliante alla piramide luminosa della dea ragione di Robespierre. Una proposta ‘ragionevole’, in grado di inglobare pure la parte socratica del messaggio cristiano. Ma anche una proposta scandalosa per chi di quel messaggio apprezza proprio l’irriducibile irrazionalità ultra-mondana.

Francesco Carraro

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DIVINA MONROE


Gli Usa hanno tirato fuori dai garages i B-52 per fargli fare un giro nell’Artico in occasione di un’esercitazione Nato, una roba easy, niente di che, tanto per scaldare i motori, lucidare le punte rosse dei razzi e mostrare i muscoli a quel fetentone di Putin. Si chiama operazione Balltops e coinvolge migliaia di soldati e centinaia di aerei. Obama, inoltre, vuole a tutti i costi aumentare gli armamenti sul suolo europeo come deterrenza nei confronti dell’orso russo. Ora, poniamoci due domande facili facili. Alzi la mano chi avverte la Russia come una minaccia alla propria libertà, tale da giustificare scenari da guerra atomica. So che nessuno l’ha fatto e quindi non serve che vi chieda di abbassarle. Alzi ora la mano chi si farebbe difendere dal capo di una amministrazione che, mentendo sapendo di mentire, ha esportato una guerra ‘democratica’ a due passi da casa nostra promuovendo un milione di poveri cristi da questo mondo all’altro e causando la morte per fame di almeno cinquecentomila bambini con un embargo 'indispensabile'   (notabene: la signora Madeleine Albright, già Segretario di Stato della suddetta amministrazione, a precisa domanda rispose che mezzo milione di infanti defunti erano un prezzo accettabile pur di piegare Saddam). Torniamo alla domanda e torniamo a constatare che la mano non l’ha alzata nessuno. Allora, è un’utopia augurarsi che, da uno dei ventotto scranni che ospitano i ventotto leader dei ventotto paesi che si fanno chiamare UE, se ne alzi uno dotato di memoria storica sufficiente per ricordare al signor Barack una celeberrima dottrina elaborata da un suo illustre predecessore e passata alla storia col nome del medesimo, cioè Monroe? Nel 1823, James Monroe dichiarò solennemente che gli USA non avrebbero tollerato intromissioni europee nel nuovo continente. Non potremmo copiarne il testo e spedirlo per mail agli yankees? È vero che c’è la Nato, quindi un’alleanza tra le due sponde dell’Atlantico, ma, fintanto che non ne avvertiamo l’esigenza, si facessero i casi loro, sperimentassero le loro bombe atomiche in territorio americano, mostrassero i muscoli al Messico o al Canada. Con la Russia ce la vediamo noi e con l’Europa Unita, purtroppo, anche.

Francesco Carraro

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WATERWORLD


A Stoke-on-Trent, nei pressi di Newcastle, la piscina Waterworld ha organizzato un evento particolare (una serata per sole donne) e, nel lanciare l’iniziativa su facebook, ha espressamente richiesto che le partecipanti evitino il bikini per non offendere la sensibilità delle donne mussulmane. Ammessi, invece, tutti i costumi tipo scafandro o tuta termica, atti a pudicamente coprire le grazie del gentil sesso. Ora, l’episodio non va letto soltanto come l’ennesimo caso di subalternità culturale di una civiltà sempre più succube (quella occidentale) di fronte a una in ascesa imperiosa (quella islamica). Questa è una chiave interpretativa sensata, ma non è l’unica, né la più importante. L’altra, meno evidente, ma altrettanto significativa, ha a che fare con una irresistibile tendenza tipica di qualsiasi individuo appartenente a gruppi deboli perché privi di identità, valori, credenze in grado di irrobustirne la coscienza. L’inclinazione, per intenderci, a farsi mangiare da chi non viene a casa tua per convivere, ma per comandare. Il cretino britannico, in questo senso, non è molto diverso dal cretino italico che prega le autorità civili di togliere i crocifissi dalle classi o che si offende se, nel presepe scolastico, qualche insegnante, poco aggiornato e superstizioso che basta, ha la stupida pensata di metterci anche Gesù Bambino, oltre ad animali ben trattati e a statuine di entrambi i sessi col rispetto di prassi alle quote rosa. Trattasi di un cretino universale, un sottoprodotto della globalizzazione del Pensiero, un idiota transfrontaliero che trovi ovunque, senza distinzione di sesso, lingua, religione, condizione sociale e opinione politica. La sua caratteristica cruciale è la mancanza di discernimento, la totale inattitudine al retto ragionare e il lunare deserto interiore dove trovano spazio magari molte nozioni, ma nessunissima cultura (intesa come ‘coltivazione’ di un’idea di sé e di una conoscenza delle proprie tradizioni che conduca  al rispetto e alla difesa delle stesse). Il cretinismo global è davvero una forma di minorità psichica che non ha bisogno dell’Islam per manifestarsi. La tracotanza mussulmana non è un’invenzione, ma non è neppure necessaria. Questo tipo di cretino è naturalmente predisposto a sottomettersi a qualsiasi minoranza aggressiva perché il suo vuoto personale aspetta solo di essere riempito dal ‘pieno’ di qualcuno. Ergo, egli è la vittima designata ed elettiva di una religione il cui nome significa, appunto, submission.
 
Francesco Carraro

domenica 14 giugno 2015

LA PADELLA E LA BRACE


Gli euroforici possono tirare un sospiro di sollievo. I britannici non sono così scaltri come si temeva. Secondo un sondaggio di yougov, il 55% dei cittadini del Regno Unito è favorevole alla permanenza nella Ue. Così, il referendum promosso da Cameron dovrebbe passare senza lasciare tracce pericolose nell’animo dei popoli del continente. Ininfluente, evaporerà come lo spray. Ora, v’è da chiedersi perché. Insomma, cos’altro deve succedere perché i cittadini europei connettano le sinapsi agli indizi disseminati ovunque e capiscano l’equazione Europa Unita=crisi? Non è difficile, non stiamo parlando di E=MC al quadrato. Eppure, una massa impressionante di zombie continua a pronunciarsi a favore di chi le ha inoculato il morbo e la tiene a stretto giro di catena. Una causa può essere nella superficialità, spesso dolosa, di chi diffonde, a mo' di untore, quel certo non so che di sentimento pro euro di cui poi beneficiano i partiti maggiori raccogliendone il risultato sotto forma di voti nelle urne. Solo così si spiega, del resto, il trenta e passa per cento di consensi per quel partito di cartongesso che è il PD renziano. Ma, a ben vedere c’è dell’altro. Parliamo di un respingente che, all’atto pratico, e nel momento topico, allontana l’elettore medio dalla prospettiva dell’exit come dal virus dell’Ebola. E questo pesticida della consapevolezza si chiama ricatto dei Mercati. In Inghilterra, per dirla tutta, diverse società finanziarie della City hanno minacciato di lasciare le sponde del Tamigi in caso di fuoriuscita della GB dall’Euro. L’uomo della strada ha l’incubo della miseria e, ogni volta che mette la testina fuori dal carapace per immaginare che un altro mondo è possibile, qualcuno gli sussurra ‘miseria, miseria’ e lui si ritrae. Se ne dovrebbe dedurre che ciò che fa così male a noi (il processo di unificazione) fa benissimo a loro (i Mercati). Eppure, preferiamo la padella in cui ci cucinano alla brace di cui ci minacciano. Forse dovremmo cominciare a prendere in considerazione l'idea di 'vedere' le loro carte per capire se non sia un bluff. Se poi non lo fosse, allora perché non decidere di cambiare le regole del gioco?

Francesco Carraro

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SINISA SI CHE LO SA


Può un allenatore di successo, già calciatore di successo, fungere da esempio per la classe intellettuale di un Paese intero? Può. È stata di recente ufficializzata dal Milan l’assunzione di Sinisa Mihajlovic, già vice-allenatore dell’Inter, già calciatore dell’Inter, in qualità di tecnico responsabile della squadra rossonera. Poco prima che ciò accadesse, si affilavano i lunghi coltelli di quelli che ‘mi ricordo di cosa avevi detto dieci anni fa’. A Sinisa imputavano una bellicosa dichiarazione di inimicizia eterna nei confronti dell’altra metà di Milano: “non allenerò mail il Milan”. Molti che lo aspettavano al varco sperando di impallinarlo per questa manifesta incoerenza sono stati impallinati così: “Uno cambia. Ho cambiato modo di pensare e ragionare”. Un giovane (allenatore) favoloso. Chapeau. Niente giustificazioni, capite? Niente contorsionismi dialettici per giustificare un così repentino cambio di casacca, di fazione, di ‘religione’ calcistica. Semplicemente, si cambia, uno può cambiare modo di pensare, di vedere la realtà, di interpretarla e quindi può schierarsi oggi tra le fila degli avversari di ieri. Quello di Mihailovic è un esempio liberatorio per molti opinionisti nostrani che, da decenni, non cambiano mai parere. Ti raccontano, magari, di quando il mondo è cambiato, di quanto il cambiamento conti, di come tu debba cambiare se vuoi sopravvivere nell’era dello “yes we can change”. Ma loro non cambiano idea, mai. Sempre gelosamente avvinti alla stessa visione delle cose, sempre intruppati nello stesso pensiero condiviso, espressione di un senso comune anestetizzante e confortevole. Temono di mutare opinione, perché farlo significherebbe ammettere di essersi sbagliati per troppo tempo su troppe cose. E così, anche quando la realtà plasticata in cui avevano ingenuamente o pigramente o convenientemente deciso di credere, cade a brandelli, loro non cambiano. Vi restano avvinghiati, tipo un naufrago alla trave. Sinisa, di mestiere, non commenta le vicende della cronaca e della storia. Allena. Allenava l’Inter e ora allenerà il Milan. Ha cambiato idea. Un invito a tutti noi. Se abbiamo la sensazione di aver toppato, di aver capito ciò che prima no, facciamo come Sinisa. Liberiamoci e, anziché invitare gli altri a cambiare, cambiamo noi stessi.

Francesco Carraro

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A PIENO REGIME


Certe volte è bello sentire parlare gli intellettuali di riferimento dell’Epoca, quelli capaci di tracciare il solco che poi la spada dei seguaci difende. Per esempio, se vuoi sapere in cosa consiste la democrazia nell’era del tweet, basta che ti abbeveri all’Eco della stampa libera. In quel di Torino, nel ricevere una laurea honoris causa, Umberto (Eco, appunto) ha palesato la sua schifiltosa insofferenza per un fatto che grida vendetta: “persone che prima venivano messe a tacere dai compagni oggi hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”. Insomma, il web è insopportabilmente democratico perché permette a qualsivoglia imbecille di dire la sua e di farla franca senza che un compagno “lo metta a tacere”. Che dire? Può essere nostalgia di un passato non lontano in cui, in effetti, di ‘compagni’ che mettevano a tacere chi non condivideva la voce del padrone ce n’erano a iosa. E delle loro vittime son piene le fosse. Ma non è una questione politica, credetemi. Qui, il nostro vate si fa piuttosto interprete di una pulsione ‘cerebrocratica’ di cui sono vittime molti dei pensatori di punta della nostra Nazione: quella di ritenersi parte di un selezionatissimo  consesso di encefali platonici cui, soli, spetterebbe il diritto di discettare e disquisire e argomentare su come va il mondo e, soprattutto, su come dovrebbe andare. In base a questa logica, il diritto di parola non è dato, una volta per tutte, con l’acquisizione di quello di cittadinanza di una libera repubblica. È, piuttosto, un privilegio da guadagnarsi accedendo ai più elevati ranghi dell’elite intellettuale (per Eco è sufficiente  il Nobel che, evidentemente, egli ritiene paritetico a una laurea honoris causa, altrimenti non si permetterebbe di parlare). Il mistero buffo, in tutto ciò, è che, tolte le proverbiali  lodevoli eccezioni, di intellettuali mastini, in grado di aprire gli occhi e le coscienze, in giro non se ne vedono più da un pezzo. Di “matti” come Pasolini, per capirci, la Patria non ne fa più, si è rotta la macchinetta. Oggi vanno via come il pane le intelligenze sottili, ma così sottili che fai fatica a distinguerle l’una dall’altra. Mai un concetto controcorrente, mai un piedino fuori dal solco del mediamente corretto. Conformisti, apatici, moderati, equilibrati, allineati. In una parola, inutili. Però vorrebbero la piazza digitale tutta per sé e un calcio in culo a tutti gli altri che osano cinguettare senza invito di un’università. Ha ragione Eco. Ci vuole decoro, misura, gavetta e il bollino blu rilasciabile, in esclusiva, dall’aristocrazia dell’intelletto col dovuto pedigree accademico. Parti piano, carburi, vieni sdoganato dai cenacoli giusti e, solo dopo, avrai diritto di parola e potrai navigare spedito. A pieno regime.

 Francesco Carraro

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TROP SECRET


Uno dei modi migliori per sapere davvero ‘che tempo che fa’ è collezionare gli articoli della stampa quando, occasionalmente, riferiscono di temi delicati. Insomma, quando maneggiano materiale scottante, non la solita sbobba sulle partite di cricket destra vs sinistra, sulle iniziative del governo, sulle dichiarazioni del presidente di Confindustria o sullo stato di avanzamento del processo di schiavizzazione della Grecia. Ebbene, ciò che il cronista scrive, a commento delle news scomode è addirittura più significativo delle stesse news. Nelle sue reticenze, nelle sue titubanze, nel suo tentennare tra l’avvertito dovere di cronaca e il malcelato timore di oltrepassar la soglia (del lecito) puoi cogliere il senso della degradata condizione di subalternità culturale e intellettuale che ci tocca, come singoli e come popolo. Prendete, per esempio, il trattato di libero scambio Usa-Europa, il Ttip, che dovrebbe trasformare le due opposte sponde dell’oceano in un oceano di occasioni e opportunità e che nasconde, invece, rischi letali e per la salute e per la sicurezza e per la libertà dei cittadini europei. I negoziati vanno avanti nella più assoluta segretezza. In un paese normale questa dovrebbe essere la notizia principale sulla stampa libera, il cavallo di battaglia del Quinto Potere poco incline alle tracotanze del Sesto (quello Oscuro). Ecco, invece, come, uno dei (pochissimi) articoli usciti nelle ultime settimane sul tema, affronta la faccenda: “In pratica un segreto nel segreto, visto che anche i dettagli del trattato in discussione sono top secret e riservati agli addetti ai lavori”. Le due righe citate non sono il titolo a caratteri di scatola della prima pagina del Corriere o del Sole 24 Ore, ma un inciso in coda a un pezzo che racconta dell’esortazione rivolta dal console Usa a Firenze, Abigail Rupp, all’Italia affinché rompa gli indugi e acceleri sulla strada dell’accordo. Esse danno conto, senza scandalo, che ci sia un segreto e che i dettagli del trattato siano top secret e riservati a non meglio precisati ‘addetti ai lavori’. Chi saranno mai costoro? Boh, ma non importa. Ciò che conta, in una società sedata dal cloroformio, è che la stampa riferisca sul Potere, non che ‘ferisca’ il Potere. Quindi, nel più assoluto silenzio andrà in porto “il più grande accordo commerciale nella storia delle relazioni internazionali” (ipse articulus dixit). Ma forse è giusto così. Significa che siamo delle pecore silenti da pascolare. Dov’è la notizia?

Avv.Francesco Carraro

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REVERENDING STORY


Ci sono delle storie, vere, che sembrano uscite dalla penna di un grande scrittore per come sanno condensare un’epoca, il suo spirito e quello degli uomini che la vivono, carnefici e vittime. Storie magari da decima pagina, eppure, da qualsiasi parte le si guardi, sono perfette, rifinite e dense quanto un’opera d’arte ben riuscita, di quelle tramandate come ‘simboliche’, proprio perché dentro ci trovi tutto il necessaire per orientarti in un dato periodo storico. Ebbene, sentite questa. Non c’era una volta (perché accade oggi) Benton Harbor, un paesino sul lago Michigan, di diecimila anime, quasi tutta gente di colore, metà della quale quasi povera se non povera del tutto. Nelle vicinanze del villaggio ha sede il potentato di una mega multinazionale, che fattura, se va male, venti miliardi di dollari in un anno. Purtroppo, la presenza del centro nevralgico della corporation non giova agli abitanti di Benton Harbor perché, dal 2011, la ditta ha chiuso l’ultimo impianto  e ha deciso di andare a ‘produrre valore’ (per dirla con gli esperti di global business) altrove, insomma hanno deindustrializzato e delocalizzato come dio, cioè i mercati, comandano. Ma i poveri di Benton sono inviperiti perché non solo Pantalone se ne sbatte di loro, ma è anche riuscito a farsi esentare dal pagare le tasse alla comunità. Si chiamano incentivi fiscali per scatenare gli animal spirit dello spirito d’iniziativa privato. Per soprammercato l’Impresa ha anche ottenuto di deforestare una porzione del Jean Klock Park per fabbricarci centri commerciali, residenze de luxe, campo da golf. Pensavano di far felici gli indigeni con tutte queste azioni di stimolazione della crescita e invece si sono imbattuti in una specie di Don Camillo a stelle e strisce, il reverendo Edward Pinkey che si è lanciato in una lotta contro l’outsourcing delle manifatture locali, la povertà endemica, la rinata caccia al nero. Morale: chi sarà finito nei guai? Il cappellano ‘matto’, ovviamente. L’hanno incastrato per una faccenda di irregolarità formali (contenute in una petizione da lui promossa)  e rischia dieci anni di carcere. In compenso, ai residenti hanno aumentato del 50% il costo dell’acqua. Ecco, se volete spiegare in venti righe ai vostri figli come gira il mondo, raccontategli questa storia. E se vi chiedono cosa si può fare per invertire il senso di marcia, ditegli di cercare un reverendo Pinkey. O di diventarlo.

Francesco Carraro

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domenica 7 giugno 2015

IL TEMPO DELLE PERE


 

Renzi è tornato dalla guerra e ci ha regalato alcune perle memorabili in una intervista a tutto campo dove ha affrontato i temi spinosi trascurati durante la campagna di Afghanistan. Fior da fiore, ne scegliamo due di imperdibili. La prima è quella sul risultato delle regionali che non va confrontato con quello delle europee perché non si paragonano le mele e le pere. Strano, perché è proprio grazie alle mele camuffate da pere (o alle pere truccate da mele, fate vobis) che Renzi governa il Paese alla guida di un partito che, per ammissione del suo leader che fu, aveva perso le ultime elezioni politiche. Lo governa senza aver partecipato alle elezioni che il suo partito aveva perso, lo governa senza essersi mai candidato a un'elezione politica, lo governa con l'appoggio determinante di candidati dell'altra sponda 'ribaltatisi' a sostenere la sua e lo governa in forza del monumentale bagno di consensi (il quaranta per cento, capitemi, il quaranta per cento!) ottenuto dal suo partito a una elezione (europea) che, per stare alla metafora, c'entra quanto una pera con una mela. E allora perché lo fa? Ci è o ci fa? La risposta la trovate nella medesima intervista laddove il nostro fa ammenda su come il suo partito ha gestito la vicenda della scuola e dice testualmente: "è colpa di un racconto sbagliato da parte del governo". Ecco la chiave di volta, l'ombelico del mondo renziano e dei pianeti e satelliti che gli gravitano attorno: il racconto. A Renzilandia non contano i fatti, ma i racconti, non i contenuti, ma il modo attraverso il quale quei contenuti sono veicolati. E' il trionfo della programmazione neurolinguistica, la disciplina cui gli spin doctor del premier attingono a piene mani. Una delle sue caratteristiche è proprio il lavoro sulla 'lingua' e sul 'programma' cioè sulle tecniche di manipolazione verbale che consentono la cosmesi di fatti negativi imbellettandoli  con un racconto positivo. Non sottovalutatela. Da come guardi il mondo tutto dipende e 'imbellettamento' si legge 'ristrutturazione'. Il fatto è piegato al diritto di trasmutarne l'essenza perché è il leader  che (sofisticamente) 'crea' la realtà che l'elettore medio 'vede', proprio come il prestigiatore dà vita all'illusione cui lo spettatore crede. E' così che un partito di destra viene chiamato 'di sinistra', una sconfitta alle politiche diventa una vittoria capitale, un sindaco si fa premier, un 40% alle europee è un plebiscito per l'eternità e un tonfo  è un trionfo. Il racconto giusto genera il messia sbagliato. Quello a lungo atteso che magari non trasforma l'acqua in vino, ma, come minimo, le mele in pere.

Francesco Carraro

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KARATE KID


 

Quale corto circuito si scatena se, nello stesso giorno, leggi le intercettazioni degli abitatori del 'mondo di mezzo' e della loro amorale voracità e poi la solita sbobba di qualche comparsa governativa sulla 'buona scuola' e, infine,  assisti a un'esibizione di karate per bambini a una sagra parrocchiale? Partiamo dall'ultima che ho detto. Magari scopri che kara-te significa mano vuota,  cioè l'esatto contrario del simbolo degli affiliati a Mafia Capitale: la mano piena (di quattrini). Poi apprendi che quella peculiare scuola di karate che ha allestito il saggio ha nome Shin gi tai cioè 'corpo-mente-tecnica' e che, nella consegna delle cinture colorate ai ragazzi che 'superano l'esame', in quel rito di passaggio durante il quale le cinture antiche finiscono a terra e  quelle nuove annodate alla cintola, c'è tutto il senso del 'molto' che a noi manca, come Società e come Scuola. Quel 'molto' che si chiama disciplina interiore, coltivazione del carattere, formazione della personalità e che si traduce nei volti sorridenti dei piccoli samurai e nelle espressioni sfumate di fierezza di adolescenti e giovani uomini in kimono, a piedi nudi, sulla piastra di basket di un patronato. Giovani uomini che lì, nella periferia delle nostre città e in quella della nostra tradizione (occidentale), trovano ciò che questo mondo non gli sa (forse non gli può più) dare: il 'fuoco' dell'iniziazione, la cultura, anzi la 'coltura', del sé, il valore del rispetto, dell'introspezione, del miglioramento finalizzato non ad avere risorse maggiori, ma ad essere uomini migliori. Ovviamente non è questione di karate; il karate è una delle possibili vie, ma turba il fatto che, all'orizzonte, non se ne vedano molte altre. E, in questo deserto, proliferano i mezzi figuri del mondo di mezzo e il loro approccio bestiale e predatorio alla vita, dove 'mangiarsi' una città, spolparla, è la conseguenza non evitabile di un'assenza 'infantile' di riti, di miti, di 'discipline iniziatiche'. Diciamo pure di 'comandamenti' trasmessi da maestri in grado di orientare alle stelle. C'entra questo con la riforma della scuola? Un po' sì perché chi la sta costruendo pare concepirla come un barattolo da riempire fino all'orlo di contenuti, di nozioni, di saperi per forgiare soldatini tarati sul metro della competitività. Quest'idea di istruzione non produce certo le scorie della mala capitolina, ma non va neppure nella direzione contraria a un certo modo 'materiale' e pragmatico di concepire l'esistenza. Dove ciò che conta è comunque l'accumulo, la crescita esteriore (dell'economia), non la Crescita Interiore (di una filosofia). In definitiva, e tornando al principio, non di corto circuito si tratta, ma di un circuito lungo, anzi lunghissimo da fare prima di approdare alla 'mano vuota' di una sagra di paese. Ma forse vale la pena percorrerlo.

Francesco Carraro   www.francescocarraro.com

 

CIP & CIOP


 

Secondo Stefano Epifani, un docente di social media management dell'Università La Sapienza di Roma, l'Italia ha un 20% di analfabeti funzionali che formano la propria opinione guardando un video e ascoltando messaggi semplici, perlopiù veicolati tramite facebook e i social network. Per il docente "queste sono le persone che Salvini intercetta meglio: se il suo target fosse un altro farebbe discorsi diversi". Non è una tesi nuova. Anzi, è la tesi  (rassicurante) per antonomasia, impiegata  quando si fa largo un movimento non allineato all'Eurocrazia che non passa dai tornelli istituzionali dell'electoral show comunitario. Esso prevede, di regola, un carosello strutturato come segue: c'è un centro-destra detto anche moderato o popolare o conservatore che si confronta con un centro-sinistra detto anche 'socialista', progressista, riformista. Cip & Ciop, insomma, anzi Cip versus Ciop. I due pupazzi si danno furiosa battaglia dicendo peste e corna dell'avversario. Poi si vota. Poi c'è lo spoglio. Poi la grande stampa commenta l'esito delle urne. Se vince il premier di centro-destra, costui va a Bruxelles, prende ordini, tasta il polso ai mercati, prende ordini, ausculta Francoforte, prende ordini. Invece, se vince il premier di centro-sinistra, colui va a Bruxelles, prende ordini, tasta il polso ai mercati, prende ordini, ausculta Francoforte, prende ordini. I media godono come matti a raccontare l'inclinazione della schiena con cui il 'vincitore' si prostra ai suoi re. Se la diagonale è sopra i novanta gradi, il politico è rampante e risoluto. Se, invece, è sotto, il politico è prudente e calcolatore. Ma quando esce allo scoperto un movimento che la fa fuori dal vaso, scatta il riflesso condizionato che le parole di Epifani sunteggiano a puntino. Altri opinionisti ci sarebbero andati giù ben più duri dicendo, for example, che lo sfidante è uno 'straccione culturale' il cui elettore medio è un ignorante di ritorno, scolarizzato da twitter. E' vero l'opposto, invece. Sono proprio questi partiti 'tangenziali' al sistema o, addirittura, ad esso conflittuali, estratti dalle più diverse  famiglie politiche (di destra o di sinistra) a costituire l'unica prova dell'esistenza di vita intelligente là fuori. Forse i loro leader seminano (parecchio) attraverso i nuovi media, in questo Epifani ha ragione, ma raccolgono assai di più tra chi 'intellige' che fra gli stolti. Insomma, ci sono più neuroni in circolo in un circolo di quattro padani della bassa che nei milioni di fans ancora abbindolati dalle avventure  di Cip & Ciop.

Francesco Carraro

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LE SORELLE MATERASSI


 

Marco Materazzi ha detto che non tiferà Juve nella finale di Champions League. Ci crediamo, così come sappiamo altre  cose che un bianconero conosce, ma di regola tace. Per esempio quell'orgoglio sporco di sabbia, vitale, e la plebea strafottenza di tifare la Juve che un interista non prova e non sa. Nonostante la chiamino Vecchia Signora e nonostante gli Agnelli, la Giuve è la grande proletaria nazionale del calcio che fu, infangata di gloria e di invidia, quanto l'Internazionale è il global team elitario del football che sarà, non a caso adovata dai vip, da quelli con la evve avvotata all'indietvo, da attori, cantanti e anchor man,  da comici, artisti e starlette. L'Inter ha vinto molto più di quanto non si dica perché vince anche quando perde e, anche se perde, per colpa di qualcuno lo fa: l'arbitro cornuto, il sistema corrotto, la sfortuna maledetta, il destino cinico e baro e, va da sé, i furti con lo scasso dei ladri bianconeri. La Juve ha vinto molto meno di quanto non si sappia perché perde anche quando vince e, se anche vince, per grazia di taluno lo fa: l'arbitro comprato, il sistema al suo servizio, la fortuna benedetta, e, va da sé, gli inopinati mancamenti dei miti nerazzurri. L'Inter sfila in grisaglia, ha la puzza sotto il naso, piace alla gente che piace. La Juve arranca in salopette da catena di montaggio, gli puzzan le magliette, spiace alla gente che piace. L'Inter è il cugino Gastone, la Juve è Paperino. L'Inter ha femminea eleganza, è un team di sorelle  cocche di mammmmà e  figlie di pappppà cui tutto è dovuto per contratto e che vincere 'dovrebbe' se il mondo fosse chic, e perde la partita per la sfiga, ma poi affoga la sconfitta nel grappino di quelli che 'se mia nonna aveva le ruote era un carretto'. La Juve ha rudezza virile, una banda di  gobbi fratelli colle pezze al culo che vincon la partita  perché  bravi, ma la scontano  nel castigo dei sospetti dei malnati da case popolari, privi di allure, di charme e di bon ton. Eppure, stiamo con Materazzi. Tifare gli 'avversari' non si può. Qualsiasi juventino vero tiferebbe contro l'Inter anche ai preliminari della Mitropa Cup e qualsiasi juventino vero gode un mondo all'idea  di avere imbroccato, dopo la vergogna di calciopoli e i quattro scudetti di fila dell'Ambrosiana di Milano e il triplete del Mou, quattro scudetti di fila e il quasi  triplete (perdere col Barca di Messi è una medaglia al valore) del Max. Non c'è mai stata nel calcio nemesi più dolce di codesta. E voi sorelle non siete manco invitate alla festa.

Francesco Carraro

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COSI’ E’ (ANCHE) SE (NON) VI PARE


 
Jovanotti, uno dei pochi cantanti italiani in grado di riempire uno stadio per due date consecutive, durante un recente incontro organizzato dall'Università di Firenze, avrebbe dichiarato, stando a un articolo di Matteo Carnieletto su IlGiornale.it, di essere stato invitato a un summit privato insieme a una ottantina di vip planetari (soprattutto amministratori delegati di multinazionali oltre ai vertici della Banca Mondiale), ma senza uno straccio di politico, e ha poi aggiunto che i politici non c'erano perché "non servono. Le cose non si decidono più a livello politico. La politica amministra questa situazione, ma le decisioni non le prende più la politica". Ora, il capo della banda non ha detto niente di epocale o di strano. Ormai anche i più ingenui 'credenti', cultori della 'versione ufficiale' su come gira il mondo sanno dell'importanza dei cenacoli riservati, delle 'Cernobbio' internazionali dove le crème de le crème dell'economia, della finanza, dell'industria globali intessono progetti sul futuro e riempiono fittissime agende di cose da fare poi demandate ai fattorini della democrazia, cioè ai politici che noi votiamo. Quindi, il vero busillis non sta in ciò che Jovanotti ha detto, ma in ciò che i media 'ufficiali' (non quelli border line azzoppati, a torto o a ragione, dalla nomea di cospirazionismo) non hanno detto e non diranno mai. Ma qual è la ragione ultima di questa renitenza a informarci su summit, riunioni, consorterie ormai talmente note, ripetute, sfacciate, che persino una rock star ci viene invitata e si sente autorizzata a parlarne in pubblico? Perché  radioggiornalietivvù non sdoganano l'evidenza denunciata da Lorenzo Cherubini? Perché continuano a fingere che il centrodestra e il centrosinistra, e i loro ridicoli pupi pirandelliani di un teatrino in cerca d'autore, contino davvero qualcosa? Insomma, perché  seguitano a strimpellare l'orchestrina delle bugie e ad allestire  lo scenario 'apparente' delle vicende di cronaca, intanto che il Titanic affonda? Forse perché sono 'posseduti' dagli stessi poteri da cui prende ordini la politica? O, forse, per un misto di condiscendenza e interesse personale. Tengono famiglia e sono usi, da tempo, a obbedir tacendo. Così va il mondo, anche se non vi pare.

Francesco Carraro

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