domenica 26 luglio 2015

MA 'NDO VAI SE LA BARBONA NON CE L'HAI


Pensiamo un po’ alle barbe, che ci aiuta. Avrete fatto caso che sono spuntate un po’ ovunque. È barbuto il calciatore, è barbuto il sindaco, è barbuto il commentatore sportivo, è barbuto l’opinionista di grido. Persino la cantante. Ovunque è un tripudio di barboni, più o meno acconciati, lunghi o corti, compatti o striati, ispidi o morbidi. Anche gli intellettuali han capitolato. Li vedi ammiccare dal video con la barba nuova di zecca, la sfumatura cangiante grigio scuro che fa un po’ Old Marx e parecchio New Cacciari. Va bene, ma, stringi stringi, la barba cos’è? Una moda, ovvio. Già, una moda, altrimenti non si spiega perché un orpello di pelo biologico, già simbolo degli espulsi dal contesto civile (non a caso, definiti ‘barboni’), sia oggi un irrinunciabile  atout dei vincenti strafichi. Cosicché sei un barbone sfigato se la barba non te la fai crescere. Insomma, dove vai se la barba non ce l’hai? Dice che bisogna arrendersi, c’è una moda per ogni era come c’è una pazienza per ogni limite, aggiungerebbe Totò. Va bene, ci arrendiamo, non stiamo a crucciarci per il pelo nell’uovo. Ma c’è un ma. E va pur denunciato: si tratta della barba del pensiero. Non la potete vedere o toccare, ma è altrettanto folta e consistente della lanugine da rimorchio. E, come quella, è un tic.   Il tic dei vip, per così dire. Vi si adegua il volgo per fare il verso al Principe e vi si presta il Principe per indicare il ‘verso’ al volgo. Un modo di sragionare appreso, assorbito per osmosi e fatto proprio dalle masse e da chi dovrebbe orientarle, i meditabondi maitre a penser. Partiamo dalle prime per arrivare ai secondi: la percentuale di elettorato che gradisce il PD è, più o meno, la stessa che, fino agli Ottanta inoltrati, votava il PCI. Senonché, il PD col PCI c’entra quanto Belzebù con l’acquasantiera, è un’altra faccenda, un’escrescenza barbuta sbocciata su un corpo di sana e glabra costituzione. Passato dalla venerazione per l’austerità  di vita e di costumi, all’adorazione dell’intensità di crescita e consumi. Badate bene che, grosso modo, parliamo delle stesse persone o, almeno, delle stesse famiglie, figli di genitori comunisti che forse moriranno renzisti. Eppure, la metamorfosi è avvenuta senza scosse, con la stessa disinvolta nonchalance con cui un paese di mascelle senza pelo si è trasformato, nel volger di un mattino, nella terra degli gnomi barbuti. È una moda, non c’è un perché, direte. Ed è vero, ma ci narra anche di quanto evanescenti siano le nostre credenze e di quanto risultino artefatte e pilotate. Milioni di persone già invaghite dell’ascetico, puritano Berlinguer oggi mettono una croce sul PD e quindi sulla Merkel, su Junker e la Lagarde. Dopotutto, sempre di austerity si tratta, no? Solo che lì era un fatto di testa e di cuore, qui è un fatto di pancia e di sfintere. Allora un imperativo etico: non si vive per consumare. Oggi un dovere patetico: si deve consumare per sopravvivere. E gli epigoni del leader ti parlano del bisogno di stimolare la domanda con la stessa spocchia con cui i loro padri disprezzavano l’offerta. Fulminati sulla via di Damasco, si sono scoperti liberali, liberisti e pure libertari, alla Pannella. È un fatto di barba, insomma. Va tanto di moda. Sto dicendo che gli elettori del PD ancheggiano con la movida del momento? Non lo dico io, lo fanno loro e l’intellighenzia di riferimento fa anche peggio. Non c’è niente di più indigesto (a parte certi slogan dei sodali del premier) della plastica adattabilità con cui i filosofi bacchettoni anti sistema si sono trasformati nei paladini dell’era che avanza. Furiosamente inclini a patrocinare le virtù taumaturgiche delle aree di libero scambio, dell’inflessibile flessibilità mortificante i lavoratori che un tempo si piccavano di rappresentare. Tutta gente col pelo sulla faccia (e sullo stomaco) ignara dei motivi per cui dovette traghettare all’altra sponda. Purtroppo, la massa e il guru di riferimento vanno di conserva, entrambi dove li porta il cool. Tanto, non c’è mica da studiare granché per tramutarsi in alfieri dell’economicamente corretto. Basta declinare in varie desinenze il nuovo Verbo: c’è da crescere, da fare le riforme strutturali, da allargare il precariato, da allungare l’età contributiva, da restringere gli spazi di dissenso. Non è difficile, dai, non più di quanto lo sia chiazzare le guance con la peluria del terzo millennio. Gente barbuta sempre piaciuta. Oggi. Ma ieri? Ieri è un’altra storia, il mondo cambia, si deve cavalcare il mutamento, bisogna concorrere con le macro dimensioni del Duemila, mica avvinghiarsi alle micro sicurezze del Novecento. E così ti ritrovi i vecchi arnesi dell’avanguardia proletaria, del potere operaio, della lotta continua che, un po’ stanchini tipo il barbuto Forrest Gump, hanno finito per adattarsi allo Spirito del Mondo. È la moda e solo  la moda paga. I maestri (pur di essere pagati) seguono i diktat della committenza, li ascoltano, li digeriscono e poi sbobinano i compiti per casa: si fanno crescere la barba e discettano sull’ansia del rigore e sulla mistica del debito. Allora la gente vota credendo di scegliere e invece applica i comandamenti ‘barbuti’ dell’Evo Competitivo. Gli intellettuali scrivono illudendosi di decifrare un’epoca e invece si fanno comandare dalle medesime password che indottrinano le masse. È un  circuito vizioso che asseconda le esigenze dei Mercati. Una volta si pensava  a la gauche proprio come, agli albori del secolo breve,  si vestiva alla marinara. Oggi si pensa global e si va di barba. Fatevela crescere, se volete competere, ma che sia bella fitta, mi raccomando, che non ci resti impigliato qualche sussulto dubbioso, una traccia di vita intelligente, una domanda malandrina sui mandanti della moda, per esempio. Tira più un pelo di (questa) barba che un carro di buoi, fidatevi. Un momento: Renzi la barba non ce l’ha. Certo, ma lui mica è uno che tira. È uno che si fa tirare.

Francesco Carraro

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lunedì 20 luglio 2015

RIVOLUZIONARI DI TUTTO IL MONDO, MODERATEVI!


 
Forza Italia è in un vicolo cieco. Il Presidente ha detto che, se lo mandano in galera, i suoi devono fare una rivoluzione. Almeno una, ma non di più, mi raccomando. Due sono troppe, roba da lista Tsipras per dei moderati di ferro come i forzisti, zero è da ospizio per anziani. Una va bene. “Però che sia moderata” ha sottolineato il leader: “che non ci scappino gli ultimi elettori”. Tutti iscritti, si sa, allo schieramento dei moderati che, da almeno venticinque anni, si batte moderatamente contro quei progressisti estremisti della sinistra. Allora, si sono interrogati nei piani alti del defunto pidielle, come si fa una rivoluzione moderata? “Non è un controsenso?” ha chiesto un micro tesserato di sette anni (uno dei piscinin reclutati per rinvigorire la senescente gagliardia degli Azzurri). Gli hanno subito spiegato che le idee del capo non si discutono, al massimo si interpretano, purché il risultato sia più silvista del Silvio. Mumble, mumble. Ma come si fa a fare una rivoluzione moderata? Alla fine, l’idea! Dopo aver consultato il libretto rosso di Mao e una biografia di Ho Chi Min, il colpo di genio: “Occupiamo la tivù di stato!”. Dall’unico circolo della Brianza rimasto fedele al Boss hanno sollevato un’obiezione sensata (e molto moderata, va da sé): la televisione pubblica è in mano ai comunisti, quindi inespugnabile. “Mai paura” ha detto un militante ispirato dalla visione della discesa in campo del Novantaquattro: telefoniamo a Italia Uno. Linee roventi col direttore di rete e, alla buon’ora, il placet: “C’è spazio venerdì prossimo, verso le tre del pomeriggio, dopo i Simpson, ma dovete usare vernici lavabili per gli striscioni sennò mi imbrattate il palquet. E piano con gli slogan, niente megafoni che altrimenti mi si incazzano quelli di Sport Mediaset”. Voto democratico, approvazione plebiscitaria. Ma, proprio allora, il piscinin rompicoglioni dice che si deve passare la delibera al vaglio della base: “dobbiamo cercare un moderato qualsiasi e chiedergli, con moderazione, cosa ne pensa. Sapete  che Silvio ci tiene alla voce, moderata, del popolo”. Corsa  frenetica per i viali di Milano, registratore alla mano, ma niente. Non si trova un forzista manco a pagarlo (e la ditta paga bene!), solo cinque stelle, leghisti, renzisti, qualche rimasuglio di vendolian-civatiano. Alla fine, nella tarda sera crepuscolare, su una panchina della Bovisa, mentre il sole muore, ecco un pensionato moderato che vota Forza Italia da quando gli hanno promesso la rivoluzione liberale (e moderata). È da allora che aspetta, in compagnia di un cane identico a Dudù. Gli illustrano the rivolution project e il vegliardo trova la quadra: “Per me  la rivoluzione moderata va bene, anzi va bene quasi tutto, ma la vernice moderata lavabile no, che sporca, e gli slogan moderati neanche. Troppo casino. Ci vuole un moderatore”. E il barboncino, uggiolando (moderatamente), approva.

Francesco Carraro www.fracescocarraro.com

STRINGI QUELLA MANO, TSIPRAS


 
Questa non è una battuta: il Foglio (rivista di spicco di un intellettuale famoso per essere stato comunista quando tutti erano comunisti e forse bisognava mostrarsi un po’ liberali e liberista quando tutti sono diventati liberisti e forse bisognerebbe mostrarsi un po’ comunisti) ha titolato (davvero!) poco prima del referendum ellenico: Tsipras, stringi quella mano, cazzo! Ora, supponiamo arrivi un giorno in cui la Grecia non abbia da offrire più nemmeno il porto del Pireo, gli aeroporti più lunghi, le isole più trendy. Supponiamo che la terra di Zeus si sia giocata, quel bel dì, anche il Partenone con tutta l’Agorà, i santuari di Olimpia, Delfi e Delo, le spiagge di Santorini, l’arcipelago delle Cicladi e quello del Dodecanneso. A quel punto, si riuniscono i pezzi grossi della Trojka, insieme alle cancellerie che contano del Vecchio Continente (Italia in anticamera), e decidono che può essere una buona idea chiudere i rubinetti del bancomat. “Staccare la flebo ai renitenti funziona sempre. Dopo qualche secondo decidono di collaborare. Gli americani lo fanno da una vita, a Guantanamo, e poi anche a noi è andata sempre bene. Pensate a quanto ci siamo divertiti nel luglio 2015, quella volta del referendum”. Dopo qualche sghignazzata generale, i generalissimi della Demokratura europea, chiamano il premier italiano, che nel frattempo ha finito la merendina, e ottengono anche il suo okkkey. Vada per un nuovo piano di salvataggio a favore della Grecia che ha già finito gli 86 miliardi regalati al tempo in cui Varoufakis aveva pensato di spaventare la Merkel col suo fuciletto di latta. In mancanza di cose e di case da prestare in garanzia (tutte già pignorate la volta prima), le nuove misure di austerity puntano sulle risorse umane: ogni capofamiglia greco dovrà inviare a Berlino la propria figlia femmina (meglio se illibata) come ius primae noctis per i cavalieri teutoni di Schauble, mentre il figlio maschio (meglio se nerboruto) presterà servizio civile (volontario e non pagato) nei sotterranei di qualche multinazionale della Ruhr. Supponiamo tutto questo e chiediamoci: accetterebbero i greci? La risposta è sì. Risupponiamolo e richiediamoci: i kultori del rigore europeo (quelli che ‘è tutta colpa dei greci se si trovano in queste condizioni, dovevano fare le riforme strutturali  e adesso devono pagare perché i creditori sono buoni e i debitori cattivi’) avrebbero un sussulto neuronale? La risposta è no. Per dire, Il Foglio titolerà: “Tsipras, calagli quella gnocca, cazzo”.

Francesco Carraro

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L’INVASIONE VONGOLA


 
Una delle ragioni fondative della UE è, come sapete, la venerazione della Dea Ragione Liberista. In buona sostanza, ci vanno ripetendo da trent’anni che tutto l’impianto UE si basa sul laissez faire, laissez passer. Più mercato  e meno regole per tutti per gonfiare i consumatori come lombi di manzo agli steroidi. Senonché, poi, la UE si è strutturata come una micidiale burocratura che in confronto l’Unione Sovietica era il Paradiso sognato da Adamo Smith. Ma detta così non rende l’idea. Bisogna parlare, per forza, di coltivazioni ittiche.  La Commissione Europea ha deciso che possono accedere al mercato solo le vongole di lunghezza pari ad almeno 25 millimetri. Ora, già fa ridere il fatto che questi fenomeni lautamente pagati e appellati col ridicolo epiteto di commissari (come i detective dei telefilm polizieschi di una volta) si preoccupino di quanto lungo ce l’hanno le vongole. Ma il problema è più grosso perché le vongole dei mari del Sud, diciamo da Chioggia al basso Adriatico, hanno una lunghezza media di 23 millimetri, mentre quelle del Nord, pur meno gustose, pare che i 25 li superino in souplesse. Così, con un codicillo apparentemente innocuo e ottuso han fatto fuori un intero mercato, puta caso quello italiano, a beneficio dei marinaretti vichinghi. Ovviamente, è in corso una sollevazione popolare perché, solo in Romagna, i vongolari sono 1.500 con un fatturato di 50 milioni di euro. Secondo Stefano Cecchini, direttore di una Cooperativa di Cattolica, “l’Europa sta uccidendo l’intera filiera italiana delle vongole”. Il tutto mentre la Turchia, che nella UE non ci è ancora entrata e ha le vongole mignon come le nostre, del regolamento se ne impipa e inizia a contare i ritorni a nove zeri che l’ottusa insipienza dei Commissari Basettoni Europei gli consentirà di lucrare. Ora, uno si chiederà perché lo fanno, ma forse non è la domanda giusta. Il quesito corretto è un altro: come sia possibile che, ancor oggi, ci sia qualche animo candido convinto della natura liberista e liberale dell’agglomerato di uffici, pastoie, scartoffie più dirigista e occhiuto della Storia. Dopo quello dell’impero persiano di Serse, s’intende, ma prima di quello del governo rumeno di Ceausescu. In mancanza di risposte buttiamoci sulle leggende metropolitane, complottiste e cospirazioniste tipo quella che parla di una misteriosa direttiva del 1979 secondo la quale ai burocrati di Bruxelles gli misurano l’encefalo all’atto dell’assunzione dell’incarico. E pare debba essere molto corto, se  vogliono superare il test. Meno di una vongola di Porto Viro.

Francesco Carraro

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TI RACCONTO UNA STORIA (FANTASY)



Il fuoco di fila di giochi linguistici, battute, metafore sfornato per l’ennesima volta da Renzi nel suo intervento all’assemblea del PD tenutasi nei saloni dell’expo di Milano può sintetizzarsi in una frase: “l’Italia è debole solo nel racconto autoflagellante di se stessa”. Ecco la parola chiave: racconto. Ci avrete fatto caso, è uno dei sostantivi più gettonati dai nuovi politici, soprattutto quelli che si spacciano per dei Kennedy redivivi, tipo Obama in America e Renzi in Italia. Il motivo è presto detto, anche se non del tutto noto. Sono personaggi che attingono a piene mani a quelle tecnologie della comunicazione persuasiva, in primis la programmazione neurolinguistica, ampiamente utilizzate in ambito aziendale. Si tratta di discipline utili e pericolose al tempo stesso. Utili perché efficaci, soprattutto nello sbloccare modalità di pensiero autodistruttive e poco performanti e nel consentire alle persone di porsi obiettivi e raggiungerli. Pericolose perché, grazie a un uso dolosamente ‘distorsivo’ del linguaggio, riescono a manipolare  la percezione soggettiva che l’uomo comune (e, quindi, in politica, l’elettore medio) ha della realtà. In tutto questo il racconto è un concetto centrale perché al politico non interessa più ciò che davvero è accaduto, ciò che egli davvero ha realizzato, ma il modo in cui quell’evento o quell’azione sono raccontati, cioè ridipinti e profumati a uso e consumo di chi li ascolta. Per questo, dopo un anno di discorsi renziani, avete in bocca un sapore di sintetico e nelle orecchie un senso di deja vu e deja entendu. I suoi calembour, i suoi artifici dialettici, non sono mai spontanei, ma frutto di una certosina applicazione di tecniche quali la ristrutturazione, l’assenza di indice referenziale, il cambio di posizione percettiva, il paradosso, la contro obiezione. Se Nanni Moretti, un tempo, implorava D’Alema di dire qualcosa di sinistra, oggi potrebbe implorare Renzi di dire qualcosa di suo. Il problema è duplice: da un lato, troppi politici si fanno scrivere i testi da professionisti formatisi alla stessa scuola e, quindi, i loro pistolotti finiscono per assomigliarsi; dall’altro lato, le tecniche, sorprendenti se ascoltate una tantum, a lungo andare danno la nausea tipica dei prolungati viaggi in alto mare. Tuttavia, purtroppo per chi ne abusa (delle tecniche), ci sono realtà incontrovertibili che neppure il racconto più sofistico riesce a plasmare. Due su tutte; primo: questo è il parlamento meno legittimato della storia (in quanto frutto di elezioni perse da tutti gli schieramenti) per fare le riforme vergognose portate avanti dai renziani. Secondo: in Europa l’Italia non tocca palla neanche se gliela mettono sul dischetto. Eppure lorsignori seguitano a raccontarcela.

Francesco Carraro

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BCE- BEFANA CENTRALE EUROPEA


BCE – BEFANA CENTRALE EUROPEA

Dai che ce la possiamo fare. In fondo, non è poi così diverso da quando eravamo bambini e, un bel giorno, non ci siamo più fatti infinocchiare dalla bufala della befana. Magari abbiamo guardato il bocchettone dell’aspiratore o la cappa del camino e ci siamo detti: “no, da lì un’anziana col sacco pieno di regali non ci passa manco a spinta”. E siamo rinsaviti. Allora proviamoci con la barzelletta dell’indipendenza delle banche centrali. Avete presente il recente casino ad Atene, quando hanno staccato l’ossigeno liquido dalle fessure dei bancomat e i greci hanno scoperto che si può morire anche senza le bombe? Ecco, quella decisione è stata presa dalla BCE che ha inibito agli ellenici l’Ela, cioè la liquidità d’emergenza in grado di tenere in vita le loro banche, cioè le loro vite in banca. Una scelta straordinariamente ‘politica’, machiavellicamente ‘politica’, nel senso più duro e puro di un termine dall’etimo, guarda caso, greco. Polis vuol dire città. E la BCE, staccando e riattaccando la spina, rispettivamente  prima del referendum e dopo che Tsipras si è genuflesso, ha fatto una scelta eccezionalmente faziosa, tale da incenerire le città, con le persone dentro.  Eppure, nessuno ha fatto un plissè. Perché, cretino che sei, ti spiegano quelli ‘studiati’, gente che, a tre anni, mangiava libri di economia col Nesquik, la BCE, come tutte le banche centrali, è indipendente. Allora, facciamo uno sforzo e proponiamo un test a risposta tripla per scoprire la verità. Domanda: come fanno quelli della BCE e di qualsiasi banca centrale a essere ‘indipendenti’ in un mondo di esseri mortali in cui non esiste una sola scelta che non sia di parte? Risposte possibili (abbiamo scelto solo le più razionali, altrimenti ci tacciano di elaborare teorie della cospirazione): 1) i componenti delle banche centrali sono avatar angelicati, le reincarnazioni immacolate di qualche buddha; 2) i componenti delle banche centrali sono cyborg dotati di autoconsapevolezza, ma non della dannata propensione troppo umana di ‘dipendere’ sempre da qualcosa o da qualcuno; 3) i componenti delle banche centrali sono alieni, approdati da qualche dimensione parallela e, in quanto tali, per natura indipendenti dalle cose terrestri. Se nessuna delle tre risposte vi convince, allora mi sa che dovete tornare bambini e ricordarvi di quando, un occhio al camino e uno alla scopa, avete  liquidato la befana: “sei troppo grossa per passare da quel buco”.

Francesco Carraro

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lunedì 13 luglio 2015

ALEXIS NON EXIT


Preferireste la schiavitù o la morte? La schiavitù, è ovvio. In questa domanda e nella risposta che ne segue sta tutta la spiegazione del dramma ellenico e del perché un leader pur coraggioso, pur sfrontato, pur intelligente, come Tsipras, alla fine ha accettato di piegare la testa e di far soccombere la sua terra a un destino non più recuperabile. Un destino in cui la svendita del gioielli della nazione, del futuro dei suoi giovani, delle aspettative dei suoi anziani non è neppure il lato peggiore della faccenda. Il lato peggiore è immateriale perché non tangibile, né valutabile al contrario degli scali del Porto del Pireo che verranno regalati a qualche multinazionale. È psicologico, piuttosto, e ha a che fare con concetti astratti,  ma più duri del cemento, che si chiamano dignità nazionale, orgoglio popolare, libertà civica. Sono questi beni, senza prezzo, che Tsipras ha ceduto per sempre spogliando la sua Nazione dell’onore, ma non ci sentiamo di metterlo in croce. La macchina europea è stata ab initio concepita come la trappola perfetta. Prima promesse radiose di benessere e prosperità per indurre i cretini ad entrarci, poi sbarre di titanio per impedire agli stessi di evaderne. Come altrimenti si può descrivere un progetto che consiste nel buttarti in una situazione (la moneta unica), foriera di lutti, quindi di gran lunga più greve di quella in cui ti trovavi, eppure tale per cui la prospettiva dell’uscita è persino peggiore? Preferireste la schiavitù o la morte? Questo è il dilemma a cui i greci si sono trovati a rispondere. E persino Tsipras, che sembrava lo Spartacus  del terzo millennio, si è dovuto arrendere. Perpetuerà l’agonia dei suoi concittadini incatenandoli a un debito che continuerà perpetuamente ad aumentare, insieme ai suoi interessi. E i greci seguiteranno a patire le pene di questo purgatorio-schiavitù di tormenti (l’Europa Unita e la sua moneta) pur di non precipitare in quello che tutti descrivono loro come l’Inferno o la morte (il Grexit). Ma voi che ora godete non crediate di averla avuta vinta per sempre. Verrà un giorno, è inevitabile, in cui troverete un popolo che, tra purgatorio e inferno, preferirà il secondo, tra morte e schiavitù, sceglierà la prima. E allora saranno cavoli amari per tutti.

Francesco Carraro

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NANO-INTELLIGENZA ARTIFICIALE


Notizia riservata. Pare che un’azienda multinazionale con sede a Francoforte abbia realizzato il primo politico pret-a-porter della storia. È un androide multilingue fabbricato con le nano tecnologie in lattice, acciaio e silicio e dotato della famosa AI, cioè l’intelligenza artificiale recante l’imprinting imprescindibile: l’autoconsapevolezza. Il politico in questione ha tutto per sfondare: il kulo della Merkel, la faccia di tolla di Holland, la cattiveria agonistica di Schauble, il sorriso leonardesco di Draghi. Consentirà risparmi favolosi ai paesi che ne ordineranno uno stock. Le nazioni più leste e fortunate porteranno a casa i cloni di un prototipo in grado di disimpegnarsi in qualsiasi tenzone elettorale e in qualsiasi consesso: dai consigli di quartiere al Parlamento europeo. Risparmio assicurato sulle prebende e sugli stipendi perché il robot ha una vita stimata di poco meno di un secolo, basta cambiargli le batterie ogni cinque anni, che è poi la durata media di una legislatura. Ergo, potremo avere anche Camere e Senati di diecimila membri così da far felici gli ingenui che si oppongono al dimezzamento dei parlamentari. Prima di metterlo in commercio lo hanno sottoposto a dei test, presente la nomenklatura dell’Europa e delle Istituzioni che contano. La Merkel è rimasta scioccata dalle competenze e dal pensiero dell’androide, così pure Christine Lagarde del fondo Monetario Internazionale: “è impressionante come questo prodotto dell’ingegno umano sappia sintetizzare le profonde e articolate questioni che consentono a me e ai miei colleghi un’adeguata governance della complessità”. Siamo in grado di riportarvi le risposte fornite dal manichino alle oltre cinquecentomila domande rivoltegli. “Cosa ne pensa del referendum in Grecia?”. E lui: “Un’importante  occasione di democrazia. Spero che all’esito, il popolo ellenico torni a ragionare in una logica di crescita e di riforme strutturali”. “Che ne pensa del processo di unificazione europea?”. E lui: “L’Europa deve cambiare verso. Ci vuole più crescita e più investimenti, ma non si deve trascurare l’importanza della riduzione del debito. Solo facendo le riforme strutturali, tutti insieme, potremo garantire un futuro di pace e prosperità ai nostri figli”. “Cosa ci dice  dell’Italia?”. E lui: “L’Italia  è fuori da ogni problema perché ha fatto le riforme strutturali e agganciato la ripresa. L’Italia  sta puntando sulla crescita”. E via andare. Un genio assoluto in grado di declinare i  contorti dati del mondo in frasi fulminanti, semplici, pregne. Adesso non mettevi a spingere. Tranquilli tutti, che tra poco sarà sul mercato. Renzi ne ha già ordinati duecento esemplari per sostituire l’intero parco attaccanti del suo PD oramai logoro. Pare addirittura che i lacci delle pedule del politik terminator man siano fabbricate da un’azienda italiana. Il nostro premier ha subito twittato: “da qui dobbiamo ripartire, dalle nostre eccellenze”.  Chi volete che gli faccia le scarpe, a uno così?

Francesco Carraro www.francescocarraro.com

FATTI MANDARE DALLA MAMMA A PRENDERE IL LATTE (IN POLVERE)


Quando ti chiedi che cosa può fare l’Europa per te pensa al latte. Il mitico latte delle vacche italiane, ben pasciute, pascolate su prati d’erba naturale, in alpeggi d’alta quota ossigenati dalla brezza dolomitica. Ah, il latte! Col latte ci si fa il formaggio e in Italia puoi trovare i formaggi più buoni del mondo proprio perché in Italia ci sono ancora mucche che si ostinano a farlo liquido. E lo secernono dalle loro mammelle turgide di salute strizzate come si deve da pastori immersi in un bucolico e incontaminato ambiente dove la prima regola è il sapore dei cibi antichi e genuini che tutto il mondo ci invidia. Ma l’Europa no. L’Europa ha deciso che siamo dei contraffattori illiberali e liberticidi che ostacolano la libera concorrenza del mercato e ne infrangono i dogmi liberisti. E così, in quel pensatoio di braccia rubate alla pastorizia che è la Sacra Commissione Unita, hanno pensato bene di porre rimedio allo squallore e hanno minacciato il Belpaese di aprire una procedura di infrazione se non verrà abrogata una legge fascista, la numero 138 dell’aprile 1974, che vieta di fare formaggi a partire dal latte in polvere, quello ricostituito, artificiale che le tette delle mucche italiote non vogliono erogare manco a frustate. C’è poco da scherzare, amici. Quando vi chiedete che cosa può fare l’Europa per voi, pensate al latte e rendetevi conto che ci stanno tutelando. La Commissione è come la mamma: ti minaccia per il tuo bene. E se la mamma dice che col latte in polvere ci si può fare il formaggio, tu devi recepire e consentire. Da oggi, Asiago sintetico e Puzzone di Moena ricostituito per tutti. E se una legge populista li vieta che venga cancellata, porca quella vacca (italiana)! Il nostro ministro per le politiche agricole, Maurizio Martina, credendosi Renzi, ha twittato: ‘Su formaggi e latte in polvere no a diktat UE. Noi continuiamo a difendere  la qualità italiana”. Ma, poco dopo, gli è arrivato un contro tweet del leader e il ministro si è subito messo in ‘riga’: “Oi, non fare il bischero, ho dovuto spiegare alla Merkel che, per sbaglio, ti eri bevuto del latte nostrano. Domattina ci si trova insieme al bar a sniffare una riga di Montasio”.

Francesco Carraro

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PAZZA IKEA


L’undici luglio 2015 seimila dipendenti dell’Ikea hanno incrociato le braccia inventandosi uno sciopero. A sinistra è scattato il panico. E nelle panic room di Via del Nazareno dove ancora allignano gli ectoplasmi della storia comunista e sindacale italiana sono state istituite delle unità di crisi. I lothar di Renzi non si capacitano di quanto siano regredite le classi lavoratrici in due secoli di lotte. Possibile non capiscano? Possibile non siano in sintonia con la Storia scritta in penna d’oro dal Capo Carismatico, sotto i loro occhi? Possibile non leggano i suoi tweet? Si è chiesta la Madia, consolata dalla Boschi con un kottbullar (polpetta surgelata tipica di Stoccolma). Pare di no. La coscienza di classe è proprio andata a puttane ha soggiunto un inviperito Del Rio, mentre provava, per distrarsi, ma senza riuscirci, a montare un comodino di pino silvestre col profilo di Berlinguer. Sarà anche made in Ikea, ma ha una faccia  che deprime ha borbottato. Il boss lo ha incenerito con lo sguardo. Guai a chi tocca l’Ikea e il suo mitico piano per rilanciare la crescita e i consumi. L’aspetto sconvolgente, ciò che manda ai matti il redivivo Magnifico, è proprio che la classe proletaria non realizzi di essere già in paradiso, non comprenda la logica delle riforme strutturali dell’azienda svedese. Che avranno chiesto mai i nordici? Trasformare il premio aziendale fisso in variabile, ridurre drasticamente le maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo, definire un  nuovo sistema di turni che consenta a tutti di guadagnare di meno e lavorare di più. Solo conquiste di civiltà: un piccolo passo (indietro) per i precari, un  enorme passo (in avanti) per il capitale. Insomma, faticare tutti-guadagnare meno, in linea con  la strategia dei partner comunitari. Persino il PSE approva le ricette dell’Ikea, e allora dove minchia sta il problema, perché i sindacati scassano? Perché non stanno dalla parte giusta, quella di chi fa impresa, crea valore, costruisce sogni, per di più montabili a domicilio col fai da te? A un certo punto, uno stagista sprovveduto (uno sfigato con la faccia da nerd, laureato in scienze politiche) si è fatto avanti e ha detto, tra lo sconcerto dell’inner  circle renziano: guardate che una volta funzionava al contrario, la sinistra stava dalla parte degli operai contro il padronato. Com’è finita? Per lo stagista male. Pare ne abbiano trovato i resti dentro un kottbullar gigante.

Francesco Carraro

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IL MIO GROSSO GRASSO MATRIMONIO GRECO


Riassunto della trama per gli increduli. Tsipras ha imposto e vinto un referendum per chiedere ai suoi concittadini se sono accettabili le condizioni da capestro imposte dai creditori internazionali al popolo ellenico per ripagare gli interessi su un debito talmente grasso e grosso da far invidia al celebre matrimonio greco. Gli ateniesi e i loro fratelli dicono di no, con un sussulto di dignità imprevisto e capace di mandare in fibrillazione le borse di mezzo mondo e fuori di testa gli esattori (per conto terzi) domiciliati a Bruxelles. Bene, fatto questo mezzo miracolo, Varoufakis, uno degli artefici, viene invitato a dimettersi perché ‘antipatico’ a Schaeuble, a Dijsselbloem e agli altri compagni di merende dell’Eurogruppo. E Tsipras tace e acconsente. Della serie: squadra che vince si cambia. Come se Bilardo, dopo il mitico gol di Diego all’Inghilterra, nel 1986, lo avesse tolto di squadra nella finale contro la Germania perché el diez stava sul culo ai crucchi. Ma Alexis non si ferma mica. Anziché farsi forte della portata storica dell’evento, anziché incarnare l’intransigenza di Leonida alle Termopili, si trasforma in un Alcibiade qualsiasi e scende a patti col nemico.  Il primo round della trattativa post referendum prevede, come sempre quando c’è da dissetare i Mercati e le loro piovre, più tasse e meno diritti. Anche in Grecia si dovrà lavorare fino alle soglie della tomba (o almeno dell’orrida vecchiezza cantata da Gozzano) e per almeno quarant’anni per potersi godere la pensione. Il tutto per il bene del pueblo unido? Jamas. Semmai per avere un prestito di  54 miliardi che serva a onorare gli interessi su un debito monstre. Quindi, i greci faranno debiti per pagare nuove tasse per consentire allo Stato di contrarre altri debiti che aumentino il debito esistente permettendo di rifondere gli interessi sul debito consolidato. Non c’è male per il leader di una forza ‘di sinistra’. Pensate a come stanno ridendosela, adesso, le banche  già creditrici, liberatesi per tempo dei debiti greci sbolognati agli stati e alle istituzioni europee. Una risata cosmica, una risata  leggendaria, all’idea che, dopo la sbornia di pseudo-democrazia, quei grulli pagheranno  più di quanto avrebbero fatto prima del referendum. Come dite? E dei poveracci del Peloponneso che non arrivano all’inizio del mese chi se ne occuperà? Non c’è problema. Quella stessa risata li seppellirà.

Francesco Carraro

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