Un'analisi di McKinsey, riportata su 'Italia Oggi', ha messo il
dito in una piaga già nota, ma sottovalutata: quella dell'indebitamento.
In moltissimi paesi di punta dell'economia globale il rapporto tra la somma del
debito pubblico e di quello privato, da una parte, e il PIL, dall'altra, ha
raggiunto dimensioni monstre: 400% in Giappone, 390% in Irlanda, 358%
in Portogallo, 280% in Francia, 259% in Italia. Tuttavia, se ci pensate, non si
tratta di una malattia delle entità impersonali (gli Stati) in cui si incarnano
le nazioni. E' un morbo che contagia il vissuto di ciascuno di noi da quando ci
approcciamo al mondo del lavoro a quando ce ne allontaniamo per 'goderci' la
pensione. Il sistema economico occidentale (oramai globalizzato) non è più un
modello dove si lavora per guadagnare, per vivere, per risparmiare, per
investire, ma, piuttosto, una matrice dove si va in prestito del necessaire
per consentirsi quei 'consumi' che sono il marchio di fabbrica della Civiltà
fondata sulla Crescita. Un tempo, nella logica tipica del fordismo, lavoravi
(anche) per guadagnare quel di più che ti serviva a pagarti i lussi del
mercato. Oggi, invece, per ottenere lo stesso risultato, devi indebitarti e
cioè privarti, nel medio-lungo periodo, di una quantità di risorse ben
superiori (considerando gli interessi) rispetto a quelle che ti vengono
elargite. Idem dicasi per gli stati. La 'mitologica' Crescita non è alimentata
da un rilancio dell'economia reale, ma dall'accesso al debito regolamentato dai
Mercati finanziari e dalle istituzioni internazionali che fungono loro da
ancelle. La domanda è: perchè siamo finiti così? Perchè qualsiasi prodotto
reclamizzato dai media contiene una frase finale (pronunciata, di solito,
a perdifiato come le controindicazioni dei farmaci) che ci recita il TAEG
o il TAN del debito che dovremo contrarre per pagarci quel 'giocattolo'? In attesa
di una risposta dovremmo ricordarci la stretta attinenza che esiste tra il
fenomeno del debito e quello del servaggio, e il legame che vincola i
consumatori indebitati (e stimolati a sempre nuovi consumi) ai loro
finanziatori (dovranno pur nascondersi da qualche parte, no?). Per farlo
gioverebbe una ripassata di quelle norme di diritto romano
antico con cui avevano persino formalizzato la punizione giusta
per il debitore insolvente: la schiavitù. In fondo, non siamo molto
distanti da quel meccanismo, lo abbiamo solo perfezionato. Diciamo che oggi si
va più per le spicce, nel rispetto delle forme: schiavi non di nome, ma di
fatto, presto e per sempre, anche senza default.
www.francescocarraro.com
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