UNA RISATA CI SEPPELLIRA’
Notizie dal
futuro. Gennaio 2017. Il nuovo film
di Checco Zalone batte i primati di ogni tempo di incassi, frantumando il suo record
dell’anno prima: cinquanta milioni di euri nel primo week end. Praticamente,
tutti gli italiani adulti in grado di respirare, nel fine settimana, hanno
assistito alla proiezione della nuova pellicola capace di guadagnare, nei due giorni iniziali, quanto Via col vento, Star Wars, Et e Titanic messi insieme. La critica si
interroga e cerca di trovare la ragione di questo incomparabile fenomeno di
successo pop. Sulle riviste patinate e sui quotidiani più letti e nei salotti
tv più quotati, ferve il dibattito. Com’è possibile che questo pur simpatico e
stralunato attore faccia numeri siffatti al botteghino puntando sull’effetto
comico? Ridere fa ridere, niente da dire, Checco ha sempre fatto ridere, anche
in passato. Ma questo nuovo film dal titolo N’do
cado? non fa semplicemente ridere, provoca scompisciamenti collettivi,
irrefrenabili attacchi di ilarità isterica che, non di rado, sfociano in
ricoveri d’urgenza e in somministrazioni di cure intensive. L’aspetto singolare della faccenda è questo:
per la prima volta nella sua carriera costellata di trionfi, Zalone mette in
scena una trama che, fino all’ultimo, è triste, cupa, realistica. Poi c’è il
colpo di teatro finale e vengono giù le sale. Il film parla dell’Italia degli
ultimi sessant’anni, dalla firma del trattato di Roma del 1957, diciamo,
istitutivo della Comunità Economia Europea. In un crescendo di malinconoia, racconta di come il nostro
Paese, già quinta potenza industriale del mondo, perde gradualmente la sua
sovranità, smantella i propri confini, apre indiscriminatamente la porta a orde
di immigrati, la spalanca alla concorrenza di prodotti stranieri taroccati che
mettono in ginocchio le piccole e medie aziende nazionali, cede il proprio
potere legislativo a organi non elettivi senza una sola traccia di italianità
che risiedono in Belgio, mica nel Lazio, consegna la propria cassa di denari,
detta Bankitalia, a una entità terza sita sulle rive del Meno, rinuncia a stampare la propria moneta a
beneficio di quella stessa insindacabile entità, continua a tassare a sangue i
suoi cittadini non per fornire loro i servizi pubblici (nel frattempo
privatizzati), ma per rimborsare gli speculatori internazionali che le prestano
il denaro per sopravvivere, si adatta ad obbedire a comandi contenuti non in
leggi partorite da rappresentanti del popolo sovrano italico, ma in regolamenti
e direttive elaborati da ventotto semisconosciuti, riuniti in un consesso detto
Commissione, versa a questa stessa commissione miliardi e miliardi di
contributi ricevendone in cambio la metà come contributo alle spese, viene
umiliata quando c’è da prendere una decisione importante e valorizzata, con una
pacca sulle spalle, quando c’è da prendere per il culo il più pirla della
compagnia. Insomma, il film insiste per due
ore due, con impeccabile taglio documentaristico, a snocciolare il motivo
per cui il Belpaese è finito nello stato di servaggio in cui si trova. Poi,
ecco il tocco di genio del regista. Ultimo atto: il premier italiano si
avvicina ai microfoni e, con l’espressione
da ganassa di un cartoon di Carosello
degli anni d’oro, mette mano alla Colt e dice: “Che non pensino a Bruxelles che
stiamo qui a farci intimidire. I tempi in cui si poteva telecomandare la linea
da Bruxelles a Roma sono finiti”.
Fenomenologia di un Fenomeno.
Francesco
Carraro
www.francescocarraro.com
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