DIALOGO DELL’EUROPA E DI UN ISLANDESE
Buone notizie dal
gelido Nord. L'Islanda, nella persona del suo ministro degli esteri Gunnar
Bragi Sveinsson ha comunicato che non entrerà nella Ue e ritireràvla richiesta
presentata nel 2009. Cosa c'è di strano? Che è una scelta normale, logica,
giusta. Quella che qualsiasi politico sano di mente e puro di cuore farebbe se
si degnasse di leggere i trattati istitutivi del Manicomio Europeo oltre a
peritarsi di firmarli. Ma, oggi, la normalità, la logica e la giustizia sono
l'eccezione, non la regola. Altrimenti non si spiegherebbe come e perchè i
leader di ventotto nazioni (leader di destra, di sinistra, di centro) abbiano
scelto la strada dell'eutanasia di massa dei rispettivi popoli e della
castrazione chimica dei loro poteri sovrani. L'islandese dalla schiena dritta
che ha detto no, ha accompagnato la sua scelta con una frase da incidere a
caratteri d'oro nei libri di educazione civica (se ancora la fanno) dellenostre
scuole medie: "Gli interessi dell'Islanda sono serviti meglio fuori
dall'Unione Europea". Undici parole secche come una schioppettata per
impallinare cinquant'anni di retorica comunitaria e disegnare il profilo
orgoglioso di un'identità che non si spezza. Non è un caso che questa
rivendicazione di fierezzae autonomia venga da un paese dove la 'destra' e la
'sinistra' hanno ceduto il passo a categorie 'politiche' d'altri tempi come gli
'agrigoltori', i 'pescatori', gli 'indipendentisti'. Tutta gente semplice,
capace di farsi due conti in tasca e di capire che, per esempio, entrare nella
Ue avrebbe significato accettare, nell'ambito della pesca, la perversa
logica delle 'quote latte' stabilite da un allegro commissario polacco o
portoghese o finnico in un lucidissimo ufficio, belga, francese o tedesco.
Purtroppo da noi non può succedere perchè i pesci (di centrodestra e di
centrosinistra) sono già tutti finiti in barile.
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