IO RIMANGO QUI
In tempi cupi
di paura un bambino entra nel pantheon dei nostri eroi. Durante la partita
Roma-Fiorentina di Coppa Italia persa malamente zero a tre dagli uomini di
Garcia, a un certo punto i capi ultrà decidono che tutti devono andarsene dagli
spalti per protesta. E il gregge, ovviamente, obbedisce. Senonchè, in mezzo
alle pecore belanti, c'è un bambino con la giacchetta rossa che se ne frega e
resta lì. Forse non gli importa che la sua squadra del cuore perda in casa, il
babbo gli ha pagato il biglietto e lui beato se ne sta, regale come un leone
nella vecchia fattoria. I lupi hanno un bel da fare a sgolarsi. Il bocia non si
muove e qualcuno scatta una favolosa fotografia che ricorda tanto quella dello
studente in blusa bianca con le sportine della spesa davanti
al carroarmato, a Piazza Tienamen, durante la rivolta dei giovani a
Pechino dell'Ottantanove. D'accordo, gli eventi non sono paragonabili: la
Storia Grande contro la cronaca minuscola, il prepotere dell'Impero Giallo
contro la strafottenza del tifo giallorosso. Eppure, quella foto ci
commuove perchè ci smuove qualcosa dentro, una qualità che scarseggia sempre
più, oggidì: il coraggio di fottersene, di tenere la posizione, di guardare a
testa alta il lupo che fa: huuuuu. E allora ci vengono in mente i tanti
ululati di cui è gravida la nostra società: e quelli dei teppisti allo
stadio, e quelli dei bulli a scuola, e quelli della burocrazia fiscale a
lavoro, e quelli dell'esattore a casa tua, e quelli dell'Isis oltremare, e
quelli dei bastardi che picchiano i più deboli, e quelli dei potenti che
minacciano la guerra, e quelli della crisi che ti manda in crisi. Quel bambino
è un mito e ci urla di non farci spaventare. La paura è nella mentalità da
servi che ci hanno inculcato. E che ci fa alzare quando vorremmo starcene
seduti a goderci in santa pace una partita. Evviva il piccolo,
grande tifoso col suo 'tana libera tutti' e il suo (ultra): 'vaffanculo,
io non ho paura!'.
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