Restiamo con
Dostoevskij. Rileggere le considerazioni di uno scrittore di due secoli fa è
più utile che non divorarsi la cronaca minuto per minuto dell’ultimo massacro
live negli arrondissement parigini.
Se c’è un aspetto su cui tutti sembrano concordare è che gli attentati hanno
una matrice precisa nel fondamentalismo islamico. Dunque, ancora una volta, una
scaturigine religiosa. Qui fate
attenzione perché, inevitabilmente, nella testa di chiunque abbia alle spalle
un percorso di fede, di qualsivoglia
fede, scatta un riflesso condizionato foriero di una auto-correzione inconscia:
non di religione si tratta, ma di fondamentalismo religioso. È lo stesso
patetico alibi dei tifosi o dei commentatori sportivi, di coloro che, insomma,
vivono di calcio e per il calcio, soffrono per la squadra del cuore e, magari,
ci campano pure. Se allo stadio ci scappa il morto, i responsabili non sono i
tifosi, ma semmai dei finti tifosi, criminali distratti bisognosi di
sfogare il killer istinct, i quali passavano
casualmente in zona stadio e, già che c’erano, si sono infiltrati nella curva a
far buriana. Con il terrorismo islamico è uguale. I macellai di carne umana non
sono religiosi, anzi non sono nemmeno
mussulmani. Chi si macchia di crimini siffatti è un estremista islamico. L’equivalente, grossomodo, del tifoso non
tifoso o del sedicente brigatista dei
tempi che furono. È un modo comprensibile, umano, per distanziarsi dall’orrore,
per convincersi che le belve sono figlie di una razza aliena, camuffatasi con
la sciarpa di un ultrà o col turbante di un mullah per seminare il panico tra
la brava e buona gente della parrocchia. Purtroppo non è così. L’humus da cui
fermenta quel tipo di brutalità
belluina, utile a freddare innocenti
sull’altare di un Moloch, non è estraneo né all’Islam, in primis, né ad
alcun’altra fede. Nessuno, di coloro che si prostrano a un trascendente indimostrato, è potenzialmente
senza macchia. Stiamo facendo l’apologia dell’ateismo? Per nulla. Anche
l’ateismo è un’ideologia, anzi una idiologia,
cioè una costruzione mentale altrettanto
arrogante di quella fondata su dio, in
grado di partorire, come dimostrato dalla storia, costruzioni sociali quanto, se non più, efferate e antiumane delle
religioni rivelate. E Dostoevskij come
c’entra? Centra, eccome. Rileggetevi quello straordinario dialogo tra i
fratelli Alesa e Ivàn ne ‘I Fratelli Karamazov’ o qualunque altro brano dove
risuoni il monito: senza Dio, tutto è permesso. Sostituite Dio con qualsiasi
entità, religiosa, metafisica, ideologica cui abbiate deciso di votare
l’esistenza. Vi accorgerete che le parole del grande narratore russo vanno
esattamente rovesciate. Non senza, ma
con dio, per dio, in nome di dio,
con, per e in nome di qualsiasi costruzione idiologica,
tutto è permesso. È solo questione di
tempi e di spazi. Prima o poi, la bolla di energia cui destiniamo pensieri,
emozioni e parole può arrivare a esigere il suo tributo. Il che non significa
dover rinunciare a qualsiasi prospettiva trascendente, tutt’altro. Significa
essere consapevoli di un rischio, da cui nessun fedele è immune: che cioè,
quella prospettiva da assoluta divenga assolutamente anti-umana.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com
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