sabato 28 novembre 2015

LA MACINA DA MULINO



È uscito The visit,  il nuovo film di Manoj Night Shyamalan, e non abbiamo resistito. Dovevamo vederlo subito, perché Shyamalan sta al genere mistery nel cinema come Stephen King sta al genere horror nella letteratura. Trattasi di un regista di culto per gli appassionati. E quando sei appassionato di un genere, il tuo autore di riferimento non lo giudichi, perché non serve. Lo leggi, lo vedi, lo mediti, cerchi di risalire i tortuosi percorsi in grado di innescare nel genio artigianale di un tessitore di trame  la miracolosa scintilla di una piccola o grande storia. Ma veniamo al dunque. The visit non è un capolavoro. Non raggiunge i vertici di tensione e capovolgimento delle premesse propri de Il sesto senso e neppure il fascino bucolico e profetico di The Village. È un film appena sufficiente o forse colpevolmente insufficiente. Però l’idea dei nonni cattivi, tenutari di un casolare di campagna dove accedono gli ignari nipotini preadolescenti non è da buttare. Quando il male assume le forme dei congiunti più intimi oppure di soggetti buoni per definizione, la sua carica distruttiva è amplificata, in un modo o nell’altro. Chi ha visto il film Il giro di Vite, o letto il racconto di Henry James da cui fu tratto, può capire cosa intendo. Eppure, se andrete a vedere The visit uscirete impressionati non dai vecchi psicotici epigoni della strega buongustaia di Hansel e Gretel, ma dalle vittime, i due ragazzini e dai loro caratteri: odiosi, fatui, finti, e, soprattutto, innaturalmente adulti. Un tredicenne con lo sguardo sgamato e malizioso e la passione per la peggiore pseudo letteratura di sempre: il rap; una quindicenne dall’eloquio accademico che sforna a getto continuo considerazioni da scafata opinionista tivù. Insomma, il dramma di The Visit non è che i nonni sono troppo crudeli e psicolabili per essere dei veri nonni. La vera tragedia del film è che i bambini sono troppo strutturati, colti, artificiosi per essere dei veri bambini. Purtroppo, questo non era un obiettivo del regista e quindi non è un risultato da ascrivere a suo merito. Shyamalan non voleva spaventarci con i mocciosi, ma con i vecchi. Invece, gli è riuscito il contrario, ma non è colpa sua. Il suo istinto di maestro del mistery ha scattato la spietata polaroid di un’epoca attraverso la trama di una gothic novel postmoderna. Morale della favola: ci siamo persi per strada i bambini, questa modello di convivenza (in)civile li ha inghiottiti e trasformati in orribili riproduzioni dei peggiori difetti di noi grandi. Resta un tremendo sospetto. Forse, la nostra società ha collettivamente inverato il più grave dei peccati, quello per cui qualcuno, illo tempore, invocò, per il reo, la pena della macina da mulino in fondo al mare.
Francesco Carraro
www.francescocarraro.com

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