È uscito The visit, il nuovo film di Manoj Night Shyamalan, e non
abbiamo resistito. Dovevamo vederlo subito, perché Shyamalan sta al genere mistery nel cinema come Stephen King sta
al genere horror nella letteratura.
Trattasi di un regista di culto per gli appassionati. E quando sei appassionato
di un genere, il tuo autore di riferimento non lo giudichi, perché non serve.
Lo leggi, lo vedi, lo mediti, cerchi di risalire i tortuosi percorsi in grado
di innescare nel genio artigianale di un tessitore di trame la miracolosa scintilla di una piccola o
grande storia. Ma veniamo al dunque. The
visit non è un capolavoro. Non raggiunge i vertici di tensione e
capovolgimento delle premesse propri de Il
sesto senso e neppure il fascino bucolico e profetico di The Village. È un film appena
sufficiente o forse colpevolmente insufficiente. Però l’idea dei nonni cattivi,
tenutari di un casolare di campagna dove accedono gli ignari nipotini
preadolescenti non è da buttare. Quando il male assume le forme dei congiunti
più intimi oppure di soggetti buoni
per definizione, la sua carica distruttiva è amplificata, in un modo o
nell’altro. Chi ha visto il film Il giro
di Vite, o letto il racconto di Henry James da cui fu tratto, può capire
cosa intendo. Eppure, se andrete a vedere The
visit uscirete impressionati non dai vecchi psicotici epigoni della strega
buongustaia di Hansel e Gretel, ma dalle vittime, i due ragazzini e dai loro
caratteri: odiosi, fatui, finti, e, soprattutto, innaturalmente adulti. Un
tredicenne con lo sguardo sgamato e malizioso e la passione per la peggiore
pseudo letteratura di sempre: il rap; una quindicenne dall’eloquio accademico
che sforna a getto continuo considerazioni da scafata opinionista tivù.
Insomma, il dramma di The Visit non è
che i nonni sono troppo crudeli e psicolabili per essere dei veri nonni. La
vera tragedia del film è che i bambini sono troppo strutturati, colti,
artificiosi per essere dei veri
bambini. Purtroppo, questo non era un obiettivo del regista e quindi non è un
risultato da ascrivere a suo merito. Shyamalan non voleva spaventarci con i
mocciosi, ma con i vecchi. Invece, gli è riuscito il contrario, ma non è colpa
sua. Il suo istinto di maestro del mistery ha scattato la spietata polaroid di
un’epoca attraverso la trama di una gothic
novel postmoderna. Morale della favola: ci siamo persi per strada i
bambini, questa modello di convivenza (in)civile li ha inghiottiti e
trasformati in orribili riproduzioni dei peggiori difetti di noi grandi. Resta
un tremendo sospetto. Forse, la nostra società ha collettivamente inverato il
più grave dei peccati, quello per cui qualcuno, illo tempore, invocò, per il reo, la pena della macina da mulino in
fondo al mare.
Francesco
Carraro
www.francescocarraro.com
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